Considerazioni in merito al documento
Il Confine Italo-Sloveno Analisi e Riflessioni
Nella premessa al documento approvato
dal Consiglio nazionale dellANPI ci si richiama, con la
volontà di aggiornarla, alla relazione della Commissione
italo-slovena voluta a livello istituzionale tra i due paesi,
depositata il 25 luglio 2000 e mai resa pubblica dal Ministero
italiano. I Presidenti delle due Commissioni, Dr. Milica Kacin
Wohinz e Prof. Giorgio Conetti, raccomandavano, nelle lettere
di presentazione alla relazione, la presentazione ufficiale del
documento nelle due capitali, possibilmente in sede universitaria,
come segno di riconciliazione tra i due popoli. Chiedevano inoltre
la raccolta e pubblicazione degli studi di base e la diffusione
della relazione nelle scuole secondarie. Purtroppo queste raccomandazioni
restarono lettera morta e la pubblicazione fu diffusa solo a
cura del quotidiano locale del Friuli Venezia Giulia il
Piccolo e per merito di alcune ANPI della zona del nord-est
(Gorizia, Trieste, Pordenone e Treviso) restando quindi confinata
a livello locale. Nel resto della nazione la diffusione non cè
stata e il documento è praticamente sconosciuto.
Il richiamo al lavoro di quelle Commissioni rende più
evidente la mancanza di coinvolgimento e partecipazione della
componente resistenziale della vicina Repubblica di Slovenia
e, più in generale, rischia di mettere in secondo piano
il ruolo svolto dallEsercito di Liberazione jugoslavo (il
più forte movimento resistenziale europeo!) nel dibattito
e nellelaborazione di un documento che si definisce di
aggiornamento rispetto al lavoro della Commissione italo-slovena
del 1993-2001.
Nella premessa al documento si dichiara che anche di fronte
alle obiezioni più consistenti, abbiamo tenuto duro e
siamo andati avanti, con lattività di un gruppo
di lavoro e poi con lorganizzazione di un Seminario
senza specificare di che natura siano state queste obiezioni
e quale sia stata la composizione di questo gruppo di lavoro.
Il Seminario, svoltosi a Milano in data
16.01.2016 era stato organizzato in quella città esplicitamente
perché ritenuta più idonea a decantare le
passioni che a livello locale finiscono talora per essere esasperate,
ancorché fondate su sentimenti reali e comprensibili:perché
si è poi deciso di presentarlo in anteprima nazionale
proprio nel luogo che si voleva evitare?
Nella premessa si precisa che relatori al Seminario di Milano
sono stati soltanto esperti e storici di grande rilievo
e, per quanto possibile, di sicura obiettività.
Purtroppo bisogna rilevare che tutto si è svolto con poca
trasparenza nei confronti della struttura periferica, di fatto
non consentendo alcun tipo di dibattito. Ci chiediamo inoltre
su quali basi sia stata valutata la sicura obiettività
degli esperti e storici da coinvolgere. In ambito storiografico
la definizione di obiettività implica dei rischi; spesso
si tratta di una prospettiva dichiaratamente moderata,
come se la moderazione coincidesse con la verità, e spesso
è una lettura storica molto semplicistica. Pensiamo che
lANPI dovrebbe comunque partire da un punto di vista di
parte: quello dei Partigiani.
La mancanza di trasparenza e la volontà di evitare dibattito
sono dimostrate sia dalla forma scelta, il seminario chiuso,
sia dalla redazione di un documento da parte di un gruppo di
lavoro di cui non è dato conoscere la composizione. La
struttura periferica non ha avuto alcuna possibilità di
intervenire sul documento, né altri studiosi hanno potuto
dare il loro contributo. Per quanto ci riguarda, le osservazioni
inoltrate via mail alla Presidenza dalla nostra sezione non hanno
avuto alcun riscontro, neppure per accusarne ricevuta.
Ulteriore elemento di preoccupazione è che il documento
è redatto, come chiaramente specificato nellintroduzione,
con la finalità
di avvicinamento tra posizioni
anche diverse e come mezzo di prevenzione delle polemiche
.
Crediamo che invece la questione dovrebbe essere riportata alla
sua natura originaria per quanto riguarda la nostra parte e cioè
in termini di antifascismo e di fascismo, posizioni che sono
e devono rimanere incompatibili.
A ulteriore dimostrazione di un tanto, il tentativo di restituire
alla giornata del ricordo quella che avrebbe dovuto essere la
sua vocazione originaria ci pare unoperazione semplicemente
aleatoria in quanto la vocazione originaria di quella legge porta
le indelebili firme di Roberto Menia, Gianfranco Fini, Mirko
Tremaglia, Giuseppe Tarantella e Maurizio Gasparri.
Ma entriamo ora nel merito del documento.
Ci preme fare una prima considerazione sulla definizione di confine
italo-sloveno. La definizione non ci sembra funzionale
alladozione dellauspicabile approccio transfrontaliero
allo studio delle vicende di questarea, ma ci sembra invece
riduttiva, semplificatoria e per certi aspetti anche fuorviante.
E riduttiva perché non tiene conto di una sufficiente
profondità temporale: per cercare di comprendere le vicende
legate a questarea è necessario partire almeno da
fine 700 allorché, con il trattato di Campoformio,
larea veniva ceduta dalla Serenissima agli Asburgo dando
vita a una serie di contraddizioni che avrebbero determinato
gli sviluppi storici successivi nellarea.
E semplificatoria perché si tratta di una zona,
la nostra, in cui per secoli si sono intrecciati, sovrapposti
e a volte contrapposti molteplici confini: politici, culturali,
religiosi e nazionali. Un luogo che anche dal punto di vista
linguistico, geologico e biologico rappresenta un confine tra
larea balcanica, quella continentale e quella mediterranea.
A tale scopo è interessante leggere Franco Fornasaro,
Le valli del Natisone: una peculiarità geo-etnica
alle soglie del 2000.
E fuorviante perché la Slovenia come nazione totalmente
indipendente nasce solo nel 1991. Con questa definizione i soggetti
coinvolti in vicende fondamentali per questarea cadono
in secondo piano e forse addirittura scompaiono: Impero asburgico,
Regno degli SHS, Jugoslavia socialista, ma anche Terzo Reich.
In definitiva questi tre aspetti, anche singolarmente presi,
rischiano di creare ulteriore confusione in una vicenda che si
è prestata, per varie ragioni, soprattutto politiche,
a grandi speculazioni.
Inoltre proprio il richiamo allart. 1 della legge (92 del
2004) indica un punto di vista strettamente nazionale su una
vicenda che va invece considerata nella sua complessità,
non certamente in unottica nazionale, ma di comprensione
dei punti di vista di tutti, pur non deviando da una visione
antifascista. In questottica non si vede il motivo per
il quale ci si debba preoccupare di delegittimare gli avversari,
cosa che pare del resto pienamente riuscita a chi quella legge
ha voluto nellottica di contrapposizione memoriale.
Nel corso di tutto il documento si nota una certa sottovalutazione
del ruolo svolto dallItalia (monarchica, fascista e repubblichina)
nei confronti delle minoranze presenti nellarea. Ecco alcuni
esempi:
- Non viene esplicitata la forma e la sostanza della repressione
esercitata dallItalia riguardo alla distruzione del sistema
economico delle minoranze, il divieto di uso pubblico della lingua,
litalianizzazione dei cognomi e dei nomi delle località,
lesproprio delle proprietà operato dallEnte
Tre Venezie. E opportuno ricordare che con decreto del
14.8.1931 i fascisti istituirono lEnte per la Rinascita
agraria delle Tre Venezie il cui scopo era quello di insediare
famiglie italiane sulle proprietà slovene e croate (e
tedesche in Alto Adige) acquistate allasta o addirittura
direttamente espropriate. Unopera di bonifica
nazionale che per esempio nel comune di SvetVincenat/San
Vincenti su 170 piccoli proprietari croati già nel 1937
ne erano rimasti solo 60 perché gli altri erano stati
espropriati, una metà a favore dellEnte e laltra
metà a favore di tre agrari italiani. (Vedi: I
cattolici isontini nel XX secolo).
- Non vengono mai citati la Decima MAS di Borghese, il Reggimento
alpini Tagliamento, la Caserma Piave di Palmanova,
la risiera di San Sabba a Trieste i campi di concentramento per
civili sloveni di Visco e Gonars e poi lUfficio Zone di
Confine, lorganizzazione Gladio, il fatto che lapparato
statale nel dopoguerra era quasi tutto in mano a persone compromesse
con la dittatura fascista. Ancora nel 1960, a livello nazionale,
su 64 Prefetti di prima classe ben 62 erano stati funzionari
degli interni durante la dittatura fascista, su 241 vice-prefetti
tutti avevano fatto parte dellamministrazione dello Stato
durante il fascismo, su 135 Questori 120 avevano fatto parte
della polizia fascista, su 139 vice-questori solo 5 risultavano
aver contribuito alla Lotta di Liberazione. (Monito della
storia. Dalla Liberazione alla Guerra fredda 1945-1948
Pier Armando Perretta Como 1999).
Dallaltra parte del resto non viene mai citata la Garibaldi-Natisone
la più forte divisione partigiana dItalia e quella
con più caduti!
Viene in qualche modo giustificato latteggiamento italiano
nei confronti delle minoranze sostenendo che la compagine
statale non si era mai misurata con simili realtà, costituiva
una novità per lapparato amministrativo italiano
militare e civile. Eppure lItalia aveva già
alle spalle lesperienza di occupazione in Eritrea (1882),
in Libia (1911) e Dodecaneso (1912).
La parola slavi andrebbe messa sempre tra virgolette
a meno che non sia preceduta dalla parola popolazioni slave
che significa tutto loriente da qui a Vladivostock! Il
termine slavi altrimenti non virgolettato è
da intendersi in tono dispregiativo non riconoscendo tra laltro
le peculiarità nazionali in quanto sloveni, croati, cechi
ecc. ecc.
Nel documento si dichiara che i contatti tra lantifascismo
italiano e il movimento nazionale sloveno si erano sviluppati
sin dalla seconda metà degli anni 20, con la collaborazione
instauratasi tra il movimento Giustizia e Libertà
e il movimento nazionale clandestino sloveno. E necessario
ricordare che Giustizia e Libertà fu fondata
a Parigi nellagosto del 1929 e quindi non poteva essere
attrice di contatti precedenti alla sua costituzione. Invece
sono documentati i rapporti del Partito Comunista dItalia
in appoggio alle legittime istanze di croati e sloveni espresse
dai comunisti sloveni con una serie di articoli sulla rivista
Stato Operaio. Prese di posizione sulla questione
slovena che derivavano anche dai rapporti esistenti con esponenti
sloveni del calibro di Giuseppe Srebrnic (che nel 1921 fu uno
dei fondatori del PC dI., nel fu 1924 eletto deputato nella
circoscrizione di Gorizia,e dal 1927 al 1943 alternò periodi
di relativa libertà a anni di confino). Nella provincia
di Gorizia alle prime elezioni del 1919 furono eletti al Parlamento
italiano 4 sloveni (Wilfen, Podgornik, Scek e Laurencic) e 1
socialista (Tuntar, uno dei fondatori del PC dI).
Si rileva un po di confusione sulla questione riguardante
i rapporti tra i rappresentanti della minoranza slovena
e i partiti democratici clandestini; per maggior chiarezza citiamo
da Storia degli sloveni in italia 1866 -1998 di Kacin
Wohinz e Pirjevec:
Nelle trattative con i rappresentanti della minoranza slovena
e croata i partiti democratici italiani clandestini promisero
loro lautonomia dopo la vittoria sul fascismo; in unintervista
per il giornale dellemigrante Istra, stampato
a Zagabria, lo storico Salvemini e così pure in
disaccordo peraltro con Nenni e Rosselli i socialisti
Turati e Treves si espressero anche in favore di una revisione
del confine di Rapallo. Ma nel settembre del 1934, quando lUnione
degli emigranti jugoslavi della Venezia Giulia, al congresso
di Maribor, dichiarò suo obiettivo il distacco del Litorale
dallItalia, Giustizia e Libertà interruppe la collaborazione
con lUnione stessa e con il TIGR. Questultimo non
tardò tuttavia a trovare, fin dal 35, nuovi alleati
nei comunisti italiani, cambiando alluopo il suo nome in
Movimento nazionale rivoluzionario degli sloveni e dei croati
della Venezia Giulia.
Sono quindi documentati fin dalla metà degli anni venti
rapporti tra comunisti italiani, austriaci e sloveni in relazione
alle legittime aspirazioni di questi ultimi, con una serie di
articoli sulla rivista Stato Operaio e con un documento
sottoscritto dai tre partiti comunisti nel 1934. Negli anni trenta
quindi Giustizia e Libertà prese contatto
con il movimento clandestino sloveno per interrompere però
i rapporti nel 1934. Sulla linearità del processo di autodeterminazione
dei comunisti sloveni non ci pare opportuno avanzare ombre come
viene invece fatto nel documento. Le relazioni tra partiti e
antifascisti non erano superficiali e non si limitavano a semplici
dichiarazioni; rimanevano le diverse visioni con laccordo
di posticipare il problema dei confini alla fine della guerra.
Le linee politiche del PCJ di Tito e del PCdI di Togliatti
già nel 1944 seguono diverse direzioni: il primo persegue
una strada decisamente rivoluzionaria mentre il secondo, consapevole
della diversa natura della Resistenza italiana si indirizza verso
la costruzione di un sistema democratico basato sul pluripartitismo.
A tal proposito è interessante leggere Tito e Togliatti
tra identità nazionale e internazionalismo Marco
Galeazzi Carocci Editore.
Laccenno relativo a Porzus è stato modificato dimperio
da Ruffino. Ma restano ancora insoluti parecchi quesiti su quella
vicenda a partire dalla legittimità dellazione gappista
in relazione agli ormai accertati contatti con i fascisti, dimostrati
anche dalle posizioni assunte nel dopoguerra da una parte consistente
dei vertici della Osoppo, da cui nacque lorganizzazione
Gladio. In fondo la formazione osovana di Porzus
era comandata da un volontario fascista nella guerra di Spagna,
Francesco De Gregori Bolla. La consistenza della
Osoppo in questarea non era certo tale da preoccupare
troppo gli sloveni. Ciò si può evincere anche dalla
testimonianza del comandante Partigiano Paolo Rieppi Giovanni
(comandante della Brigata S.A.P. che liberò la Città
di Cividale del Friuli), interrogato al processo di Lucca sui
fatti di Porzus, che alla domanda: Che forza aveva la VII
Brigata Osoppo? rispose:Aveva una forza molto esigua.
Quel giorno, alla sfilata, ci saranno stati una ventina di osovani,
e tutti gli altri erano alpini. La sfilata a cui si riferisce
è quella relativa alla Liberazione della Città
di Cividale e gli alpini erano gli appartenenti alla
formazione collaborazionista Reggimento alpini Tagliamento
inquadrati, tra laltro illegittimamente, nella formazione
osovana. Questa testimonianza trova conferma in quella rilasciata
da G.B. Lenotti appartenente alla formazione collaborazionista
Reggimento alpini Tagliamento che così descrive
le forze osovane presenti alla liberazione di Cividale: con
che forza poteva intimarci la resa la Osoppo se nella
zona non aveva che dei quadri modestissimi (meno di 10 ufficiali)
e poche decine di elementi raccogliticci, senza armi e senza
addestramento? Tutte le forze della Osoppo avrebbero
fatto ridere la squadra dei nostri infermieri!.
Manca a nostro avviso anche una distinzione e un approfondimento
su questa linea di confine: Gorizia e Trieste vivono
una determinata situazione che non è la stessa delle valli
del Natisone, del Torre o del Tarvisiano. A questo riguardo risulta
eccessivo parlare di tutela della minoranza come si fa al punto
12 del documento. Così facendo si rischia di dimenticare
la pesantissima opera di denazionalizzazione messa in atto dallItalia
in epoca monarchica e fascista ma anche repubblicana nei confronti
anche degli sloveni presenti nel territorio nazionale fin dal
1866. Allesodo post-guerra (durato circa un ventennio)
dalle terre ex-italiane verso lItalia corrisponde un pari
esodo, in termini percentuali forse maggiore, di valligiani delle
Valli del Natisone che emigrarono (in gran parte nelle miniere
del Belgio) in conseguenza di un accordo uomo-carbone sottoscritto
dal Governo De Gasperi. Una scuola bilingue è sorta in
queste zone nel 1984 (39 anni dopo la Liberazione!) e per iniziativa
di un circolo culturale della minoranza slovena e solo molto
dopo è stata riconosciuta dallo Stato italiano. Inoltre
la tutela della minoranza, sancita dalla Costituzione repubblicana,
beneficia di una apposita legge solo dal 2001 (56 anni dopo la
Liberazione!) mentre ancora oggi si attende la sua completa attuazione.
Nel documento si dice: Con gli accordi di Belgrado del
9 giugno 1945 lesercito jugoslavo fu costretto a ritirarsi
oltre la linea Morgan. Una semplice osservazione: se vè
accordo non vè costrizione.
Senza le premesse relative alla repressione italiana delle minoranze
e alla sostituzione in tutti gli apparati dello stato amministrativo
civile, scolastico, giudiziario ecc. di personale italiano, anche
importato dal resto della penisola, non si dà il giusto
peso anche alle successive ondate di esodo del dopoguerra. Nellimmaginario
collettivo degli esuli giuliano-dalmati prende forma limmagine
dellItalia come quella di un paese generoso ed ospitale,
un luogo salvifico nel quale gettare alle spalle le tristi vicende
del passato e aprire nuove strade alla vita. Una visione alimentata
anche dalle parole rassicuranti di una propaganda intenta a dipingere
lItalia come una terra traboccante di benessere con
le salsicce appese agli alberi e le camice fini e bianche
alla portata di tutti. LItalia diventa quindi un sogno
da raggiungere, ad ogni costo. Un sogno rimasto tale anche una
volta varcato il confine, quando gli esuli si trovano di fronte
un paese profondamente diverso da quello immaginato, costretto
a convivere con la precarietà che scandisce limmediato
dopoguerra.(vedi:Le parole dellesodo in Istituto
Piemontese per la Storia della Resistenza e della Società
Contemporanea - http://intranet.istoreto.it/esodo/parola.asp?id_parola=18).
E quindi da sottolineare il fatto che gli esodi furono
abilmente incentivati dallazione svolta da organismi come
l Ufficio per la Venezia Giulia a cui succedette
l Ufficio per le Zone di Confine e da una significativa
attività legislativa (legge 520 del 23 dicembre 1946 -
decreto 3 settembre 1947 - decreto 19 aprile 1948 - legge 137
del 4 marzo 1952 volta a favorire materialmente i profughi: equiparazione
dei profughi ai reduci di guerra, sussidio giornaliero, assegnazione
di alloggi di edilizia popolare, obbligo di assunzione per le
imprese appaltatrici di opere pubbliche del 5% di manodopera,
agevolazione nella concessione di licenze commerciali, artigianali
o professionali, riassorbimento degli impiegati e lavoratori
statali con le stesse mansioni nei corrispondenti uffici sparsi
per il resto dItalia ecc.).
Nel frattempo il territorio dellattuale confine nazionale
veniva pesantemente militarizzato con la costruzione di caserme,
poligoni, bunker e limposizione di pesanti divieti che
impedivano non solo il libero accesso a determinate aree ma vietavano
anche una serie di attività. Il territorio a ridosso del
confine, per una profondità di una decina di chilometri
era costellato di cartelli che vietavano di eseguire fotografie,
riprese cinematografiche, rilievi, schizzi e usare binocoli o
cannocchiali. Si è calcolato che negli anni
sessanta il periodo di maggiore espansione del sistema
militare italiano l1,3% del territorio del Friuli
Venezia Giulia fosse occupato da siti militari (circa 100 km2)
e il 50% fosse influenzato dalle conseguenti servitù (circa
4.000 km2). (Sonia Kucler I paesaggi della Guerra
fredda La fortezza Friuli da Isonzo-Soca)
E evidente che la presenza delle servitù militari
ha pesantemente condizionato lo sviluppo economico della regione.
Inoltre la diffusione capillare di strutture clandestine armate
ha condizionato altrettanto pesantemente il libero sviluppo sociale
e politico dellarea. A molti Partigiani era impedito il
lavoro e resa difficile la vita, con imputazioni penali,discriminazioni
di ogni tipo, campagne stampa denigratorie e addirittura scomuniche
religiose. Molti di loro si videro costretti ad emigrare o tentarono,
inutilmente, di rendersi invisibili nella speranza di poter sopravvivere
in maniera dignitosa. Mentre modesti quadri delle brigate osovane,
animatori di organizzazioni del genere della Gladio, facevano
carriera nellesercito fino a ricoprire il grado di generale,
i comandanti della Divisione dAssalto Garibaldi-Natisone
si dovevano inventare modestissime attività lavorative
per rendere la propria vita e quella dei propri famigliari appena
accettabile.
In conclusione crediamo sia necessario lavorare in unottica
di confronto e dibattito su queste questioni coinvolgendo anche
le associazioni che rappresentano i partigiani sloveni e croati
con cui le formazioni partigiane italiane in queste zone hanno
combattuto, collaborato e certamente anche avuto legittimamente
opinioni diverse, e tutti gli storici che possono dare un contributo
alla comprensione di quanto accaduto. In questo caso, come in
altri, una erronea comprensione del passato rischia di non farci
comprendere neppure il presente.
Il punto 13 del documento che allapparenza sembrerebbe
aprire a un simile atteggiamento è in realtà estremamente
ambiguo. Una riflessione,dunque, che non ha la pretesa
di esaustività e merita di essere integrata da osservazioni,
critiche e proposte, utili per raggiungere lobiettivo di
pervenire ad una verità storica, se non totalmente condivisa,
almeno comune nelle grandi linee, si da favorire
labbandono di posizioni troppo rigide e chiuse,
che continuerebbero a costituire un serio ostacolo per un riavvicinamento
tra orientamenti diversi. Si auspica, così, la realizzazione
di un tentativo, per lo meno comune, di comprensione di tutti
ifattori di una vicenda drammatica, al di là di ogni preconcetto
e di ogni giudizio sommario. Tutto ciò potrebbe contribuire
sensibilmente ad un avvicinamento tra Associazioni che hanno
spesso assunto posizioni rigidamente contrapposte e ad un complessivo
rasserenamento, nella ricerca della verità
storica, per gli stessi protagonisti di un complesso di vicende
così altamente e profondamente drammatiche. Secondo questa
impostazione, la stessa ricorrenza annuale della Giornata del
ricordo potrebbe assumere un significato più consono al
carattere assegnatoli dalla legge istitutiva, di celebrazione
civile volta alla conservazione e al rinnovamento della memoria
delle vicende della guerra e del dopoguerra nellarea giuliano-dalmata.
Affinché questo fine sia effettivamente perseguito, infatti,
occorre sgombrare il campo della discussione pubblica dai pregiudizi
di parte e dagli esclusivismi nazionali, che fino ad un recente
passato hanno fomentato strumentalmente le divisioni allinterno
dei singoli Paesi e tra le diverse nazionalità. In una
prospettiva europea, la Giornata del ricordo deve costituire
unoccasione non per cristallizzare, ma per superare una
eredità storica di conflitto, il che implica in primo
luogo la liquidazione di approcci anacronistici che per troppo
hanno impedito di gettare le fondamenta di uneffettiva
e duratura ricomposizione dei contrasti ereditati dal XX secolo.
Bene! Ma quali posizioni è necessario riavvicinare? Su
quale base si pensa di fondare una verità storica? Di
chi sono le posizioni troppo rigide e chiuse?Stiamo forse piegando
le ragioni della Storia a una legge, quella della Giornata del
ricordo? A quali associazioni ci si vuole sensibilmente avvicinare?
Evocando pregiudizi non si afferma forse di averne a propria
volta?
Dobbiamo porci queste domande ricordando che tra i nostri interlocutori,
quelli invitati al seminario di Milano, cè anche
lANVGD, unassociazione che ha tolto solo nel novembre
del 2012 dagli scopi del proprio Statuto il proposito di
revisione il Trattato di Pace del 1947 e la volontà
di ritorno delle Terre italiane della Venezia Giulia, del
Carnaro e della Dalmazia in seno alla Madrepatria. Unassociazione
che ha avuto tra i propri Presidenti e dirigenti persone compromesse
col regime fascista e addirittura presunti criminali
di guerra.
Mentre noi esprimiamo tanti buoni propositi, continuamente e
soprattutto nelle nostre zone siamo sottoposti a ingiurie e a
campagne stampa diffamatorie circa presunti crimini commessi
dai nostri partigiani (italiani o sloveni che siano). Le nostre
vie e le nostre piazze vengono nel frattempo intitolate ai martiri
delle foibe, a eroi caduti nella guerra coloniale
e nelle guerre di aggressione a libere nazioni perpetrate sui
vari fronti, mentre alcune istituzioni ricevono con tutti gli
onori i massacratori della X MAS del golpista Valerio Borghese
e i Savoia visitano con la qualifica di Reali, ricevuti da Regione,
Sindaci e Istituzioni, i luoghi ove i loro avi hanno inghiottito
una generazione di giovani in una guerra sanguinaria e inutile.
Se i nostri caduti Partigiani ricevono ancora qualche riconoscimento
è perché, spesso da sola, la nostra Associazione
si fa promotrice di manifestazioni e incontri in loro memoria.
Pensiamo che senza una chiara presa di distanze, e non solo a
parole, da questi fatti e da coloro che continuano ad infangare
la Resistenza, il tentativo di addivenire ad una verità
storica resti un esercizio fine a se stesso e a questa
si sacrifichi la memoria dei Caduti per la Libertà.
Cividale del Friuli, 10 maggio 2017 |
Il direttivo della Sezione
A.N.P.I. di Cividale del Friuli
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