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lì a poco sarebbe
Nota della redazione: Mentre ritornano ridicolmente in auge
parole come "patria" e "patriota", vogliamo
ricordare un gruppo di socialisti che negli anni' 10 del secolo
scorso, con spirito internazionalista, si oppose strenuamente
alla guerra e, con grandi sacrifici, lottò per la giustizia
sociale in un'Italia che di lì a pochi anni sarebbe caduta
sotto la dittatura fascista.
Proponiamo
qui di seguito i passaggi più significativi dell'intervento
dello storico Ugo De Grandis, autore del libro "Guerra
alla guerra - I socialisti scledensi e vicentini al Processo
di Pradamano" - ed. Museo Storico del Trentino |
Caro
fratello, benché di buon grado mi sia pervenuta la tua
lettera del 13 corrente, provai un certo che di sconforto nel
sentire, anzi nel non sentire nulla. Credevo che ti avessi un
po sfinito con la mia ultima lettera a rispondermi con
dei concetti in opposizione o magari di consenso. Ma invece nulla.
Io non vorrei neppure credere che quello che mi facesti sapere
nella tua lettera non sia proprio dettame puro della tua coscienza,
come non voglio credere che tu non abbia trovato parole di risposta
alla mia lettera. Questi atteggiamenti tuoi, nocivi alla salute
dellumanità e del progresso che noi ci abbiamo preso
lincarico di tenere più in salute che ci è
possibile, sono inqualificabi e tu sai benissimo che in fatti
di questo genere non cè da transigere, specie per
questi momenti. Io si lo so e mi par di vederti, ti troverai
da solo senza alcun amico o compagno che ti dia ascolto alle
tue parole e perciò il tuo spirito combattivo di una volta,
almeno mi pare, è del tutto scemato. Anchio mi sono
trovato in simili condizioni, ho subito però guardato
più in là del mio naso e, un abbraccio delle idee
confrontate con i fatti, mi ha fatto ritrovare quella fede che
mi scalda e mi fa un apostolo fervente. Anche tu dovrai fare
così. La via, diceva il grande Sciorè è
fatta di gioie e di dolori. La nostra via è piena di spine
e di supreme contentezze. Ieri il nostro glorioso Congresso di
Roma che ha tatto trionfare ancora una volta lintransigenza,
oggi i fatti gloriosi della Russia e la grande manifestazione
della gioventù italiana sono le cose che dovranno rianimarti.
Gradirei un cenno circa la sottoscrizione allAvanguardia.
Vi saluto e sto benissimo, Walter e Cauduro ti salutano. Nazzari
si trova a Milano in via Ciavarro n.8, scrivigli.
Con mille abbracci, abbimi tuo.
Pietro.
Fu questa lettera,
spedita nel marzo 1917 da Pietro Pietrobelli al fratello Angelo,
entrambi militari lungo il fronte carsico, ad accendere la miccia
degli eventi ricostruiti nel libro Guerra alla guerra.
Pietro
e Angelo Pietrobelli abitavano in via Palestro a Schio, cittadina
industriale ai piedi delle Prealpi vicentine che allora contava
14 mila abitanti (oggi ne fa 40 mila), città culla dellindustria
laniera italiana tanto da meritarsi il titolo, che mantenne per
quasi un secolo, di Manchester dItalia.
Pietro e Angelo abitavano nella via dove sorgeva il lanificio
Rossi. chiamato familiarmente dagli abitanti di Schio la fabbrica
alta perché era un edificio di mattoni alto
5 piani costruito, su modello inglese, da Alessandro Rossi. Oggi
è un monumento di archeologia industriale, ma allora era
uno dei più grandi stabilimenti dItalia e in esso
lavoravano 6 mila operai. Pietro e Angelo erano iscritti alla
Federazione Giovanile Socialista Italiana ed erano membri della
locale circolo socialista i figli della Comune.
Appartenevano alla III generazione di scledensi (abitanti
di Schio - N.d.R.) contro cioè quegli uomini e quelle
donne che, a partire dalla meta del XIX secolo, si trovarono
a confliggere con imprenditori spietati, in primis Alessandro
Rossi, padre e padrone di Schio che per fare quadrare i bilanci
non esitava a dimezzare i salari, gettando nella disperazione
famiglie numerose già prostrate dalla sottoalimentazione
e dalle malattie endemiche della classe lavoratrice.
Se confrontiamo alcuni dati statistici relativi ai morti per
tubercolosi di Schio (città industriale), Lonigo (città
prettamente agricola del Basso Vicentino) e Vicenza (città
capoluogo), osserviamo come Schio non fosse quelleden descritto
dagli storici agiografi di Alessandro Rossi. Gli uomini e le
donne delle generazioni a cui ho fatto cenno in precedenza condussero
una vera e propria lotta per la sopravvivenza. Una vita scandita
da numerose proteste e frequenti scioperi che si protraevano
per settimane e in un caso, nellestate del '19, per alcuni
mesi. Proteste e scioperi che si concludevano con una raffica
di licenziamenti a cui seguivano altrettante partenze per lidi
lontani. Vigeva un accordo fra gli industriali vicentini per
cui, chi veniva licenziato per motivi politici da uno stabilimento,
non poteva essere assunto da nessun altro. In questi frangenti
gli industriali, la Questura e il Comune si rivelavano molto
generosi perché il biglietto di imbarco, i passaporti
e i visti venivano resi disponibili in pochi giorni. Nella quasi
totalità dei casi si trattava di partenze senza ritorno
per lAustralia, il Sudamerica, la Francia e il Belgio,
Quei giovani di allora si trovarono a combattere un nemico altrettanto
spietato, il militarismo, il braccio armato del capitale. Un
militarismo che irregimentava per anni sotto una divisa i ventenni
di allora per utilizzarli nelle sciagurate imprese coloniali
o nella repressione del malcontento popolare.
Lecatombe avvenuta a Milano nel maggio del 1898, quando
Bava Beccaris cannoneggiò la popolazione che protestava
per la fame provocando oltre un centinaio di morti, fu solo lepisodio
più cruento di una lunga serie. In questo sentimento di
ripulsa della guerra e della violenza, i socialisti di Schio
e i socialisti italiani erano perfettamente allineati alle deliberazioni
della II Internazionale, che sorta nel 1889, si era posta sempre
come primo obiettivo il mantenimento della pace, considerata
condizione indispensabile per lemancipazione della classe
operaia e di ogni progresso sociale. Le guerre, soprattutto quelle
moderne, venivano considerate come frutto della concorrenza sui
mercati mondiali delle nazioni capitaliste.
Queste considerazioni, diffuse fra i socialisti europei, erano
state ribadite in conferenze internazionali che si erano susseguite,
con cadenza biennale, nelle principali città europee (Bruxelles,
Zurigo, Londra,
).
In tutti i convegni non fu mai trovato un accordo per reagire
alleventuale scoppio di una guerra mondiale o europea che
allora sembrava ancora non imminente.
I principali contrasti erano fra lala radicale, capeggiata
da Lenin e da Rosa Luxemburg, che proponeva, in caso di guerra,
uno sciopero generale nei paesi belligeranti e lala più
moderata, capeggiata dai socialisti tedeschi, che ritenevano
che lo sciopero avrebbe indebolito le nazioni dove il movimento
operaio era più forte, come la Germania, a vantaggio di
paesi, come la Russia, dove il movimento operaio era debole.
Negli italiani il sentimento antimilitarista ebbe loccasione
di rinforzarsi più volte, la prima in occasione dellecatombe
di Adua, quando il 1 marzo 1896, in poco più di 24 ore,
le armate italiane condotte malamente al massacro dal generale
Oreste Baratieri, lasciarono sul terreno 4 mila italiani e 2
mila ascari. Fu una ecatombe che provocò una crisi di
governo con le dimissioni di Giolitti da Presidente del Consiglio
e una rinuncia, durata 15 anni, alle ambizioni italiane di diventare
una potenza coloniale.
Nel frattempo giunse il nuovo secolo con nuove speranze, ma anche
di nuovi conflitti quali la guerra fra Spagna e Stati Uniti per
il possesso di Cuba e delle Filippine, la guerra fra Russia e
Giappone, i contrasti frequenti sul suolo africano fra Francia
e Germania per il possesso delle colonie e infine i primi fermenti
indipendentisti nei Balcani.
I nuovi conflitti portarono nuove preoccupazioni nei socialisti
che non volevano che scoppiasse una guerra e pertanto gli incontri
dellInternazionale socialista ripresero con frequenza maggiore
(Parigi, Amsterdam, Stoccarda, Copenhagen , Basilea,
),
Al centro delle discussioni, era come proseguire nelleventualità
di una deflagrazione di un conflitto europeo che allora sembrava
molto più probabile che non nei 10 anni precedenti. Anche
questa volta non si riuscì a trovare una unanimità
di strategie.
Nel frattempo il sentimento antimilitarista italiano fu rafforzato
dallo scoppio del conflitto italo-turco. e lestate del
1911 fu segnata da grandi manifestazioni e scioperi in tutte
le città italiane. Ci furono anche manifestazioni a favore
della guerra alla Turchia e per il possesso della Libia, la IV
sponda e specie nel meridione, molti socialisti intravidero nella
occupazione della Libia lopportunità di sottrarsi
alla morsa del latifondo e di avere terra da coltivare in proprio.
Anche gli operai del nord vedevano nelloccupazione della
Libia la possibilità di abbandonare i quartieri malsani
dove abitavano e le fabbriche dove passavano 12 ore al giorno.
Il partito Socialista subì una prima scissione con Bonomi
e Bissolati che, favorevoli allintervento in Libia, si
staccarono formando il Partito Socialista Riformista italiano.
Le proteste continuarono anche dopo la dichiarazione di guerra
del 29 settembre del 1911 perché non si vedevano i benefici
promessi, anzi i prezzi crescevano, aumentava la penuria di generi
alimentari con conseguenti scioperi per tutta la durata della
guerra che si concluse, nellottobre del 1912, con il trattato
di Losanna.
In realtà la Turchia mantenne ancora il controllo politico
e religioso della Libia e spostò le sue truppe nei Balcani
dove era interessata a mantenere il controllo del territorio.
Noi italiani riuscimmo in realtà ad occupare solo una
stretta fascia di territorio lungo la costa e ogni tentativo
di ingresso verso linterno fu fortemente contrastato con
numerose vittime fra i nostri soldati.
Dopo la conquista della Libia ci fu una pausa di un anno e mezzo,
ma cominciarono a manifestarsi dei segnali inquietanti nei Balcani.
La situazione si risolse al tavolo della diplomazia anche grazie
alle numerose manifestazioni indette dai socialisti europei che
credettero così di avere la forza per bloccare la guerra.
In questo clima un po rilassato risuonarono
nel 1914 i colpi di pistola che uccisero a Sarajevo lArciduca
Francesco Ferdinando e innescarono la i Guerra Mondiale.
LInternazionale Socialista, malgrado tutte le discussioni
avvenute nei 25 anni precedenti, fu colta del tutto impreparata.
I socialisti dei primi paesi belligeranti (tedeschi, francesi,
belgi e inglesi), votarono a favore dei crediti di guerra ottenendo
a volte come contropartita lingresso in governi di larga
coalizione detti di unione sacra e le masse popolari,
quelle che avrebbero dovuto sollevarsi e fare la rivoluzione,
risposero compatte e ordinate allordine di mobilitazione.
Questo provocò il fallimento della II internazionale che
per due anni non si sarebbe riunita e una dura critica da parte
di Lenin che così commento laccaduto: Se
un tedesco sotto Guglielmo o un francese sotto Clemenceau dicesse
"io come socialista ho il diritto dovere di difendere la
mia patria se il nemico ha invaso il mio paese", questo
non sarebbe il ragionamento di un socialista, né di un
internazionalista, né di un proletario rivoluzionario,
ma la dichiarazione di un nazionalista piccolo borghese, perché
in questo ragionamento scompare la lotta di classe rivoluzionaria
delloperaio contro il capitale, scompare la valutazione
di tutta la guerra nel suo insieme dal punto di vista della borghesia
mondiale e del proletariato mondiale, scompare cioè linternazionalismo
e rimane un misero fossilizzato nazionalismo.
In Italia alla dichiarazione di guerra dellagosto 1914
fecero seguito 10 mesi di ipocrita neutralismo, perché
il Governo italiano voleva entrare in guerra, ma doveva capire
bene con chi sarebbe stato più conveniente entrare nel
conflitto. Forse sarebbe opportuno ogni tanto ricordare ai nostri
politici e ai nostri amministratori di ultima generazione che,
quando sono chiamati a qualche cerimonia e parlano dellAustria
come di un nemico secolare, dimenticano che lItalia fu
alleata allAustria dal 1882. Unalleanza con Austria
e Germania che fu interrotta dopo 33 anni sulla base di promesse
di di più ampi vantaggi territoriali formulate da Francia
e Inghilterra.
Il sentimento antimilitarista, specie nelle zone più prossime
al confine con lImpero Austroungarico, nei 10 mesi antecedenti
lingresso dellItalia in guerra, divenne molto forte.
Schio, la città che allora si trovava a pochi Km dal confine
con lAustria-Ungheria, percepì subito le conseguenze
del conflitto con il rientro da Austria e Germania dei lavoratori
stagionali, 31 mila nella provincia di Vicenza e di questi mille
della sola Schio. Questo provocò nuovo malessere per laggravemento
della crisi degli alloggi, della penuria alimentari e del rincaro
dei prezzi e determinò lintensificazione della propaganda
socialista con la diffusione di opuscoli dal linguaggio molto
duro. Uninchiesta dei regi carabinieri portò allarresto
di molti militanti e a un processo, lanno successivo, che
fece molto scalpore.
Nel frattempo una nuova spaccatura investì il Partito
Socialista perché al suo interno si formarono un movimento
interventista, i neutralisti "tout court" e i neutralisti
con riserva. Questi ultimi sostenevano che, se bisognava
entrare in guerra, era meglio farlo a fianco della Francia contro
le monarchie assolutiste europee.
Intanto Mussolini fu licenziato dallAvanti e poi espulso
dal partito e in molte città si tennero comizi contrapposti
pro e contro lintervento. Dopo tutti i discorsi fatti nei
consessi europei, nel Partito Socialista prevalse una nuova parola
dordine, quella di Costantino Lazzari, né
aderire, né sabotare. Una forma di neutralismo
passivo molto simile all'afascismo che 10 anni più tardi
avrebbe caratterizzato i cattolici italiani.
Finché
giunse il maggio del 1915 quando, con lo scoppio della guerra,
i paesi dellagro vicentino, come Schio, si trovarono a
essere in zona di guerra e in zona di operazioni di guerra.
La realtà dura della guerra fu percepita fin dai primi
giorni con larrivo dei profughi dalle vallate del Trentino
al confine fra Vicenza e Trento (Altipiano di Asiago, Vallata
dellAstico,
) e con i primi bombardamenti aerei che
procurarono molti morti fra i civili.
Nei primi due anni di guerra ci furono due importanti tentativi
da parte del socialismo europeo di ricostituire lalleanza
che si era rotta con lo scoppio delle ostilità; due conferenze
internazionali tenute in territorio svizzero (territorio neutrale)
a Zimmerwald nel settembre 1915 e a Kienthal nellaprile
del 1916.
La delegazione italiana era guidata Angelica Balabanoff e da
Giacinto Menotti Serrati, nuovo direttore dellAvanti.
In quelle conferenze, soprattutto quella di Kienthal, le tesi
di Lenin furono accolte con maggior simpatia anche perché
venivano formulate a quasi due anni dallo scoppio della guerra
quando erano evidenti gli effetti disastrosi del conflitto. Le
tesi di Lenin non ebbero la priorità e prevalse ancora
il non aderire e il non sabotare di Costantino Lazzari.
I deliberati di quelle conferenze furono pubblicate, sfidando
la censura, sullAvanti e arrivarono anche alle trincee,
alimentando anche grandi speranze.
Allinizio del 1917, lanno definito dagli storici
come lanno della svolta, le tensioni allinterno
del paese e in trincea giunsero al parossismo. Sul fronte si
svolgevano vere e proprie carneficine, nel paese le ristrettezze
economiche pesavano in modo insopportabile sulla popolazione.
La miscela esplosiva che avrebbe portato al processo di Pradamano
si formò nel gennaio del 1917 con il rientro dei sodati
dalla prima licenza invernale o la discesa dei soldati che venivano
dalle isole e dal meridione nei paesi dietro il fronte. Occasioni
di confronto fra la popolazione e i soldati sulla durezza delle
rispettive vite nei due anni di guerra: molti sacrifici, molti
morti al fronte, nessun successo. Se sul fronte giuliano non
cera stato nessun avanzamento, sul fronte trentino cera
stato un arretramento rispetto al maggio del 1915.
In quei mesi scoppiarono grandi scioperi specie nelle città
dove cerano stabilimenti militarizzati. Scioperi guidati
in prevalenza dalle donne perché gli uomini erano al fronte
e le donne, oltre a guidare la famiglia, avevano preso negli
stabilimenti il posto dei mariti, dei fratelli e dei padri e
percepivano bene le ristrettezze economiche.
Lepisodio più eclatante accadde a Torino nellagosto
del 1917 dove ci fu una protesta di parecchi giorni per la mancanza
del pane. Il gen. Gaetano Giardino (a Bassano in suo onore campeggia
in un viale cittadino una statua di 4 metri elevata nel 1936),
che aveva momentaneamente smesso la divisa per assumere il ruolo
di ministro dellinterno, guidò una repressione spietata
che determinò la morte di almeno 50 morti manifestanti.
Il 1917 è ricordato anche come lanno delle rivolte
più pesanti fra le truppe determinate da periodi di riposo
abbreviati per la necessita di tornare al fronte. Questi moti
furono repressi con episodi di giustizia sommaria, decimazione
e fucilazione di soldati estratti a sorte, sulla base di un codice
militare antiquato e di circolari giornaliere sempre più
dure che esortavano a una salutare ed esemplare repressione.
In queste repressioni si distinsero particolarmente tre criminali
quali Carlo Petitti di Roredo, Guglielmo Pecori Girardi e Andrea
Graziani, il numero 1.
Si distinsero per la loro spietatezza nel riportare lordine
lungo tutto il fronte e, Carlo Petitti di Roredo, anche allestero
con il corpo di spedizione albanese in Macedonia.
Bisogna ricordare che nellestate del 1919 tutti questi
episodi erano conosciuti perché il governo aveva cessato
la censura sulla stampa e alle redazioni dei giornali arrivavano
molte lettere di soldati al fronte e di civili che avevano assistito
a questi fatti.
Il Ministero della Guerra diede ordine al gen. Donato Antonio
Tommasi, avvocato generale del regio esercito, di indagare su
tutti questi episodi e di fare una dettagliata relazione.
La relazione, molto voluminosa, finì in un cassetto.
Fu ripristinata la censura e tutti i generali per il quale Donato
Antonio Tommasi aveva chiesto lapertura di un inchiesta
soprattutto per gli episodi cruenti e ingiustificati verificatisi
durante la ritirata di Caporetto, furono riabilitati. Non furono
nemmeno sfiorati da procedimenti giudiziari ed ebbero carriere
brillanti sia militari che politiche.
Questo clima di indifferenza verso i soldati giustiziati in modo
sommario permane ancora oggi e non si riesce a fare andare avanti
il progetto proposto dal deputato Gian Piero Scanu per la loro
riabilitazione e cè stato anche chi ha promosso
una raccolta firme perché questo progetto non passi.
Non è un caso che i fatti che portarono al processo di
Pradamano si siano verificati proprio nella primavera del 1917,
lanno della svolta e lanno iniziato con la prima
rivoluzione russa, quella di febbraio.
Le truppe al fronte, informate per corrispondenza dai familiari
dello scoppio della rivoluzione russa, accolgono la notizia con
entusiasmo, ma queste notizie sono contrastate da un incremento
della censura sulla corrispondenza.
Già il bando Cadorna promulgato il 24 maggio 1915 aveva
introdotto delle regole sulla corrispondenza, ma queste furono
inasprite quando i comandi si resero conto che fra le truppe
crescevano i fermenti, man mano che arrivavano notizie che riferivano
quanto accaduto a Pietroburgo.
La
maggior parte degli imputati al processo di Pradamano prestavano
servizio lungo il fronte del Carso e lungo lIsonzo dove
ci furono gli episodi bellici più cruenti quali le famose
"spallate" di Cadorna che provocarono in un giorno
solo migliaia e migliaia di morti, feriti e dispersi (un eufemismo
per indicare i soldati dei cui corpi centrati dai colpi di artiglieria
non si trovava neppure un brandello). Proprio in queste zone
avvennero gli episodi di giustizia sommaria più cruenti
quali la fucilazione di 28 soldati a Santa Maria Longa .
Il documento di Donato Antonio Tommasi raccoglie quasi tutti
questi episodi di giustizia sommaria, anche se alcuni di questi
tribunali furono allestiti in modo così improvvisato da
non lasciare che qualche traccia in alcune cronache parrocchiali
e negli articolo dellAvanti.
Non era nemmeno un caso se la quasi totalità degli imputati
di Pradamano erano inquadrati nella fanteria, larma meno
specializzata dellesercito, quella che accoglieva tutti,
anche quelli scartati alla I e II visita di leva, quella che
ha versato il maggior tributo di sangue nel corso della guerra.
Curzio Malaparte, personaggio camaleontico molto discutibile,
così descrive la fanteria in un libricino poco noto Viva
Caporetto-la rivolta dei santi maledetti: Quando
parlo di soldati intendo i pazienti, i buoni, gli ignari soldati
di fanteria, che raggruppati attorno ai migliori elementi della
piccola borghesia italiana, hanno tracciato strade, scalato montagne,
conquistato a furia di sangue trincee e trincee, ucciso senza
odio e senza odio dato la vita, che hanno compiuto miracoli e
sacrifici indicibili, che sono morti a migliaia senza capire
e senza farsi capire. Parlo della fanteria dove si entrava per
destinazione o per vocazione o per punizione, come aveva stabilito
Cadorna, il nemico della Fanteria.
Fu grazie allinasprimento della censura che venne scoperta
la lettera che vi ho presentato allinizio. Quella lettera
fu trovata dalla censura militare assieme a un documento, scritto
da Pietro Pietrobelli in un italiano impeccabile, intitolato
Patriottismo e governo che rivelava in modo inequivocabile
i sentimenti di questo giovane ragazzo nei confronti del massacro
in atto. Il patriottismo è un sentimento artificiale
e sragionevole fonte funesta di gran parte dei mali che desolano
lumanità. Viene definito patriottismo quel sentimento
che ci fa preferire a tutti gli altri popoli Il nostro popolo
e che ci fa costruire il benessere del nostro popolo a scapito
del benessere degli altri. I comandi che intercettarono
la lettera diedero subito ordine a due ufficiali dei reali carabinieri
in forza al 223esimo Reggimento di condurre una indagine su quanto
stava accadendo. Svolsero una prima perquisizione nellalloggio
di Angelo Pietrobelli che si trovava a Ronchi, poi andarono da
Pietro Pietrobelli il cui alloggio si trovava sul Monte Nero.
Queste prime perquisizioni permisero di scoprire che Pietro Pietrobelli
aveva stretto un legame con Pietro Pizzuto, un socialista messinese
già noto alla giustizia militare per aver partecipato
alle proteste contro la guerra ed era stato internato, senza
dover passare per un aula giudiziaria, in un paesino dellentroterra
messinese.
Pietro Pietrobelli e Pietro Pizzuto, dopo aver scoperto lavorando
gomito a gomito al Comando del 223esimo Reggimento di condividere
gli stessi ideali socialisti, decisero di iniziare unopera
di propaganda contro la guerra e per fare terminare questo massacro.
I due coinvolgendo un altro commilitone, il sergente palermitano
Francesco De Marines, iniziarono a scrivere lettere di propaganda
a tutti i loro contatti siciliani e vicentini, con richieste
di sottoscrizione ai giornali socialisti Avanguardia e Avanti,
inviando anche una poesia abbozzata da Pietrobelli quando era
allospedale militare e risistemata e musicata nellinverno
del 1916-17. Questa lettere finirono fra i capi di accusa del
processo di Pradamano.
Riuscirono così ad allacciare un primo contatto con il
sottotenente Umberto Fiore, unaltro socialista messinese,
che si trovava al comando di un plotone del genio sulle montagne
sopra Schio. Riuscirono a darsi appuntamento e a incontrarsi
a Schio quando Pietro Pietrobelli ebbe la licenza invernale.
Umberto Fiore con un permesso raggiunse Schio e incontrò
Pietro Pietrobelli in via Palestro dove si scambiarono i deliberati
della Conferenza di Zimmerwald e altro materiale di propaganda,
con limpegno a diffondere il materiale fra i commilitoni.
Un altro elemento di contatto fra socialisti messinesi e vicentini
fu Domenico Viotto.
Domenico Viotto era dovuto fuggire in Germania perché
ricercato dopo uno sciopero particolarmente duro ed era rientrato
quando il reato era stato prescritto. Era poi entrato nel circolo
giovanile socialista di Vicenza e nel 1908, con una delegazione
di socialisti vicentini, si recò a Messina distrutta dal
terremoto per ricostruire un asilo infantile. Qui si fermò
fino a che, con lo scoppio della guerra, non fu richiamato alle
armi e mandato sullAltopiano di Asiago.
Quando Francesco De Marines rientrò a Palermo contattò
tutti i socialisti palermitani che conosceva diffondendo molto
materiale di propaganda contro la guerra.
Nel
corso della perquisizione nell'alloggio di Pietro Pietro belli
fu scoperto il nome di un importantissimo elemento di raccordo:
Pietro Nazzari.
Pietro Nazzari è stato il segretario del circolo socialista
di Venezia, il fondatore del il sol del soldato, una organizzazione
di supporto politico e di sostegno anche economico ai giovani
che venivano spediti a fare il soldato a centinaia di Km da casa.
Pietro Nazzari era stato internato a Mesozoi, chiamato alle armi,
fu riformato per alcuni problemi cardiaci. Ritornato a Venezia,
sotto falso nome raggiunse Milano per lavorare in forma clandestina
alla redazione dell'avanti.
Durante la perquisizione dell'alloggio di Pietro Pietro belli
furono trovati tutti i contatti che aveva con i socialisti di
Schio, alcuni dei quali molto importanti come Riccardo Walzer,
Giuseppe Cauduro, Pietro Tesso, Valore Pagnotta (il figlio Armando
Pagnotta dopo l8 settembre 1943 sarebbe diventato il comandante
di una delle più agguerrite brigate garibaldine, la Brigata
Stella), Giuseppe Zordan (il cui figlio, rientrato dalla guerra
sul fronte greco-albanese con i piedi amputati, entrò
nella Resistenza civile e, dopo la cattura avvenuta nel corso
di una retata, fu portato a Mauthausen dove mori), Alfredo Bologna
(autodidatta era riuscito a diventare assistente farmacista a
Vicenza e aveva fondato a Vicenza il circolo giovanile socialista.
Fu riformato e non partecipò alla guerra a causa di problemi
polmonari).
Fra i socialisti Vicentini che entrarono a far parte di questa
rete di contatti ricordiamo anche Ottorino Volpe, Emilio Zola,
Antonio Peruffo, Marcello Trentin (tutti e 4 tipografi), Attilio
Gentili e Gaetano Falcipieri.
I carabinieri individuarono inoltre un gruppo di 8 militanti
socialisti di Cremona riuniti attorno alla figura carismatica
di Tarquinio Pozzoli giovane socialista orfano di entrambi i
genitori, ammalatosi di turbercolosi allorfanotrofio, entrato
a 14 anni nel circolo giovanile socialista di Cremona diventandone
segretario. Mandato scavare trincee sul Carso rientrò
a Cremona con gravi problemi di salute dovuti allazione
dei gas austriaci.
Pozzoli tenne contatti con molti socialisti fra i quali Giovanni
Sidoli che, mandato a Caltanisetta nel deposito locale della
fanteria, coinvolse nella propaganda socialista i commilitoni.
Un altro nome significativo è quello di Dante Bernamonti
che si sarebbe distinto nella lotta antifascista e avrebbe avuto
un ruolo importante nel movimento cooperativo nel secondo dopoguerra.
Lultimo imputato fu Alberto Meschi, anarchico, nato nel
1879, orfano del padre, spese la sua vita nella lotta contro
lalcolismo fra gli operai. Fu sindacalista anarchico fra
gli operai a La Spezia, fuggì in Argentina dove collaborò
a riviste anarchiche, espulso e ritornato in Italia partecipò
a Massa Carrara alle lotte dei cavatori anarchici riuscendo a
fare abbassare la giornata lavorativa da 12 ore a 6 ore e mezza.
Riammesso dopo il processo di Pradamano nellesercito, fu
catturato dagli austriaci e portato nei Carpazi. Rientrato in
Italia riprese l'attività sindacale, fuggì poi
in Francia e nel 1936 partecipo alla guerra di Spagna.
Linchiesta durò tre mesi con 500 perquisizioni e
52 arresti e ai primi di giugno gli imputati furono portati alle
carceri del 24esimo Corpo dArmata che avevano sede a Pradamano.
La fase istruttoria si concluse alla fine di giugno e 9 degli
imputati, riconosciuti estranei ai fatti, furono ricondotti ai
corpi di appartenenza e qui trasferiti in compagnie punitive.
Altri 8 avendo commesso il reato in zona non riconosciuta teatro
di guerra (Bologna, Caltanisetta, Reggio Calabria,
) furono
da tribunali territoriali.
I rimanenti 35 rimasero a Pradamano per essere processati in
quello che sarebbe dovuto essere un grande evento giudiziario
voluto da Cadorna per dare un segnale duro alle truppe e al paese
in un momento in cui lesercito italiano si trovava in un
equilibrio precario.
Cadorna doveva quasi quotidianamente rendere conto dei mancati
successi delle spallate su cui aveva risposto molte
aspettative, ma che, al prezzo di migliaia di morti, avevano
prodotto solo piccole conquiste territoriali di durata effimera.
Cadorna cominciò a mettere le mani avanti proprio a partire
dal giugno 1917 scrivendo ben 4 lettere a Paolo Boselli, allora
Presidente del Consiglio dei Ministri, accusandolo di non essere
abbastanza duro nella repressione di quello che considerava il
nemico interno: i disfattisti e i socialisti.
Lettere scritte nel breve susseguirsi di alcune settimane probabilmente
per allontanare da se stesso la responsabilità di un crollo
del fronte che aveva cominciato a percepire come probabile e
imminente.
Cadorna voleva un processo esemplare e condanne esemplari, possibilmente
capitali, e a tale fine fu costituito a Pradamano un tribunale
straordinario. La scelta di un tribunale straordinario avrebbe
abbreviato il processo, lasciando poco tempo al collegio di difesa
di esaminare i singoli casi, non avrebbe permesso di far deporre
i testimoni a favore e avrebbe avuto un collegio giudicante formato
da giudici militari di alto grado .
Il processo iniziò il 23 luglio nella sede del tribunale
del 24esimo Corpo dArmata a Villa Giacomelli a Pradamano.
Il Partito Socialista Italiano aveva compreso bene limportanza
del confronto che si sarebbe tenuto nellaula processuale;
era chiaro che a essere in gioco era il partito.
Fu allestito un collegio difensivo agguerrito e preparato nel
quale spiccavano due nomi in particolare: Vito Fiaschi di Carrara,
con alle spalle numerose difese di cavatori anarchici (picchiato
dalle squadracce fasciste di Renato Ricci, morì nella
seconda metà degli anni 20 anche in seguito alle
lesioni riportate nel corso dei pestaggi) e Mario Cavallari di
Ferrara, socialista, deputato prima della guerra, interventista
arruolato volontario con il grado di capitano ed espulso dal
Partito Socialista.
All'atto della formulazione dell'accusa, il pubblico ministero,
appellandosi allart. 72 punto 7 del Codice Militare, additò
la propaganda socialista come causa della diminuzione dello spirito
combattivo delle truppe e di resistenza della popolazione, favorendo
così lazione del nemico. In sostanza era unaccusa
di tradimento per la quale la pena capitale era scontata.
Ma la difesa, allapertura del processo, riuscì a
far accogliere alla corte la dichiarazione di non competenza
territoriale del tribunale a giudicare un gruppo di 16 imputati
vicentini e tutti cremonesi, tra cui Alfredo Bologna, Domenico
Marchioro, perché non era stata provata la connessione
di questo gruppo con gli altri 19 imputati di Schio, di Vicenza,
di Messina e di Palermo.
Il processo fu così diviso in due tronconi, con il risultato
di rompere lunità di attacco e depotenziare il maxi-processo
voluto da Cadorna.
Il primo processo durò 10 giorni con la richiesta di 3
condanne a morte per i principali imputati (Pietrobelli, Pizzuto
e Umberto Fiore), pene detentive pesanti con molti ergastoli
militari. I difensori riuscirono a dimostrare che gli imputati
avevano sì diffuso materiale di propaganda socialista,
ma fra compagni di fede. Non cera stato nessun tradimento
e nessuna volontà di tradire neanche per negligenza o
per motivi inescusabili.
La corte, benché sottoposta a pressioni dallalto
molto forti, accolse le osservazioni e comminò solo pene
detentive, anche pesanti, ma nessuna pena capitale, nessun ergastolo
e molte assoluzioni .
Il secondo processo si svolse una settimana più tardi
con lo stesso collegio difensivo e un diverso collegio giudicante.
Anche qui molte assoluzioni e pene detentive, ma nessun ergastolo
o pena capitale.
Dopo una settimana un gruppo di condannati ammanettati fu portato
alla stazione di Udine con una carretta. Durante il trasporto,
alla vista del colonnello che aveva emesso la sentenza di condanna,
intonarono, in un moto di orgoglio, il canto anarchico Addio
Lugano scritto da Pietro Gori allorché nel 1895
gli anarchici italiani furono espulsi dalla Svizzera. Durante
la traduzione in treno, poco prima dellarrivo a Vicenza
dove avrebbero fatto una breve sosta nel Carcere di San Biagio,
Emilio Zola lasciò cadere un bigliettino lungo la ferrovia
dove cerano degli operai al lavoro, chiedendo alla famiglia
di portargli da mangiare in carcere. Furono portati al Forte
Ratti di Genova e qui smistati nei peggiori penitenziari militari
e civili italiani: Volterra, Gaeta, il Forte di Bard in Val dAosta,
la Fortezza di Priamar a Savona, il Forte di Fenestrelle in Piemonte,
il Forte di Longone nellisola dElba.
Nel febbraio del 1919 arrivò il decreto per lamnistia
per reati politici commessi sotto le armi e lamnistia divenne
effettiva con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 23
aprile del 1919.
Le scarcerazioni andarono a rilento ed Emilio Zola, detenuto
a Padula (SA) in un ex campo di concentramento per prigionieri
polacchi e boemi, rimase in carcere fino al primo ottobre a causa
della perdita del fascicolo processuale.
Alfredo Bologna, prigioniero a Volterra, morì in carcere
a causa dellaggravamento dei suoi problemi polmonari dovuti
alle difficili condizioni igienico sanitarie del luogo di detenzione.
Qualche mese dopo sul settimanale socialista vicentino El
Visentin, Ottorino Volpe scrisse un lungo e accorato necrologio
per il compagno morto in carcere.
Chi mai potrà descrivere degnamente il suo
martirio. Sotto alcuni palmi di terra, sotto una timida viola
in un paese lontano e sconosciuto del corpo del nostro amato
compagno non resta che un pugno di cenere. Ma il vento dellavvenire
che già soffia su quelle ceneri sparge ovunque un seme
che rinovella il mondo. Un morto, no! Un simbolo (
) che
noi agiteremo sempre fra le masse per raccoglierle e guidarle
contro i sicari del dispotismo.
Una volta scarcerati tutti i militanti tornarono a fare attività
politica prima legalmente, poi con lavvento del fascismo,
in clandestinità subendo il carcere, il confino, i pestaggi
e discriminazioni sul lavoro, ...
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