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Alla base della
pacifica convivenza che è stata la norma per diversi secoli
tra i diversi gruppi etnici in quest'angolo di continente europeo
c'è un'idea moderata di nazione, che nell'uso quotidiano
del "volgare" utilizzato all'interno delle componenti
nazionali non escludeva affatto la comprensionee l'uso della
lingua utilizzata dal vicino, per motivi di scambio soprattutto
economici. Popoli diversi, ma che lavoravano assieme, si sposavano,
si divertivano usando a seconda dei casi l'uno o l'altro metro
linguistico. Gli Stati, le classi dominanti, le gerarchie del
Clero utilizzavano un altro metro, incomprensibile (soprattutto
nella sua forma scritta) ai ceti popolari: il latino.
Questo nostro "limes" è quindi, storicamente,
un confine permeabile che nel corso di più di mille anni,
dopo l'insediamento degli sloveni nell'area nel VII e VIII secolo,
non si è sostanzialmente modificato. Questo lungo periodo
di sedimentazione, di scambio, di confronto tra etnie diverse
ha infine conosciuto le catastrofiche contrapposizioni sviluppatesi
nel corso del XX secolo.
Questo scambio vernacolare tra la gente del popolo è evidente
nell'uso di certi vocaboli che indicano una sorta di passaggio,
una gradualità, da una zona linguistica ad un'altra. Molte
sono le compenetrazioni di derivazione germanica, slava o latina
nelle lingue di quest'area: per esempio il termine sloveno ?evljar
trova corrispettiva assonanza nel friulano ?haliâr, o il
tedesco Kartoffeln si traduce nel carnico cartufule, ma si potrebbe
proseguire con le voci friulane cola? (kola?), cocosse (kokos),
'zime (zima), babe (baba), britula (britev)...
Per tutto il periodo medioevale e fino al sorgere dei nazionalismi,
intorno alla metà del 1700, le lotte che si svilupparono
nel continente europeo erano in gran parte lotte per la supremazia
su determinati territori,a volte mascherate da guerre di religione,
oppure rivolte contadine contro il potere feudale che li opprimeva.
La stagione delle rivolte contadine coinvolse tutto il continente
a partire dal '300,e non lasciò indenni le nostre zone:
nel 1478 in Carinzia, a Udine e dintorni nel 1511, in Slovenia
nel 1515, nel 1573 in Croazia, nel 1713 nella valle dell'Isonzo,
nel goriziano e nell'entroterra triestino. E' evidente il carattere
inter-etnico di queste rivolte.
Se vogliamo trovare una data in cui i sentimenti nazionali virano
da una idea di omogeneità nei caratteri etnici, linguistici,
culturali ed economici,da condividere però con altri gruppi
nazionali, a una visione di superiorità dei caratteri
nazionali, di nazionecome potenza, di esaltazione dell'antagonismocon
le altre nazioni dobbiamo risalire alla seconda metà del
XIX secolo.Nel secolo successivoquest'ultima concezione di nazione
si legherà, per vicende storico politiche che qui non
elenchiamo, con concezioni politicheantidemocratiche ed espansioniste,con
le nefaste ricadute che la storia del '900 ci ha trasmesso.
La vittoria nella prima guerra mondiale delle nazioni facenti
parte della Triplice Intesa consentì al Regno d'Italia,
forte del "sacrificio" di migliaia di soldati (in gran
parte contadini e operai) sul fronte orientale, di espandere
i propri territori molto più a est dei confini culturali
e linguistici italiani (o meglio latini), includendo ampi territori
etnicamente sloveni e croati e affermando una presunta superiorità
della "razza italica".Il destino di queste aree annesse
al Regno d'Italia, sarà la brutta copia di quello della
Benecija, annessa nel 1866. Ancora nel gennaio del 1917 la rivista
del Touring Club italiano riportava la conta degli idiomi presenti
sul territorio del Regno e riconosceva come sloveni ben 18 Comuni
facenti parte del Regno d'Italia abitati da circa 38.000 persone
(Prepotto, Torreano, Faedis, Attimis, San Pietro al Natisone,
Tarcetta, Rodda, Savogna, Grimacco, Drenchia, Stregna, S, Leonardo,
Nimis, Ciseriis, Lusevera, Platischis, Resia, Resiutta). Ma a
partire dagli anni '20 del secolo scorsoprese avvio la snazionalizzazione
forzata: imposizione della lingua italiana per nomi, cognomi
e toponomastica, proibizione dell'uso della lingua materna, distruzione
delle istituzioni scolastiche(iniziata già prima del fascismo),
amministrative ed economiche delle minoranze, esproprio delle
proprietà abeneficio di coloni italiani. Il processo fu
via via più accentuato con il crescere del consenso al
fascismo,fino a giungere alla proclamazione delle leggi razziali
a Trieste nel settembre del 1938.
Fortunatamente sopravviveva, nonostante la repressione poliziesca,
un'opposizione, e l'antifascismo ebbe anche il pregio di mantenere
i legami tra le etnie storicamente presenti in quest'area. La
solidarietà e il lavoro politico comune che sarà
alla base della straordinaria stagione della Lotta di Liberazione,
ha origine alla fine dell'Ottocento. Caso emblematico è
quello di socialisti e comunisti di quest'area di cui sono testimonianza
le eccezionali figure di Giuseppe Tuntar, Giuseppina Martinuzzi,
Joe Srebrni?.
Quali ulteriori nefaste conseguenze avrebbero prodotto la repressione
fascista e il nazionalismo e quali sarebbero state le conseguenze
sulla guerra in corso se l'unità tra italiani e sloveni
non si fosse fatta? La Resistenza avrebbe avuto esiti diversi,
e i rapportitra queste componenti (anche se bruscamente interrotti
dal 1948 per una parte per motivi ideologici) non sarebbero proseguiti
cordiali fino ai nostri giorni. Nel contempo però restavano
diffidenti e ostili larga parte degli italiani, continuamente
pressati dai Media sul pericolo slavo-comunista e poco propensi
all'autocritica rispetto alla propria storia e in particolare
a quella relativa alle guerre di aggressione scatenate dall'Italia.
Nel dopoguerra infatti una nuova guerra, che potremmo definire
come la terza del secolo XX,non combattuta militarmente ma dichiarata
sul piano politico e culturale, si abbatteva sulla Benecija e
su tutto il confine orientale d'Italia. L'emarginazione, la miseria,
la mancanza di prospettive inducevano al progressivo e grave
spopolamento dell'area. L'infiltrazione in ogni apparato statale
militare e civile di strutture segrete clandestine (Gladio),
la pesantissima pressione delle servitù militari, la contrapposizione
ideologica impedivano il libero sviluppo dell'economia e degli
scambi culturali relegando lo scambio a rapporti di tipo personale
e costringendo all'emigrazione migliaia di persone. Si dovrà
attendere il 1999 per dare attuazione al dettato dell'art. 6
della Costituzione repubblicana che sancisce la tutela delle
minoranze linguistiche con apposite leggi e il 21 dicembre 2007
per veder cadere(si spera definitivamente) la frontiera tra Italia
e Slovenia, con le sue anacronistiche regole.
Nei lunghi mesi di lotta comune i partigiani consolidarono rapporti
che nonostante l'apparato repressivo sono durati fino ai giorni
nostri. I partigiani italiani, nel corso della guerra, entrarono
in contatto con la popolazione slovena, ne ricevettero l'aiuto
e la solidarietà e gli sloveni capirono che non tutti
gli italiani erano fascisti e che la causa degli anti fascisti
era una causa comune e sovranazionale. Tanti partigiani italiani
sono ricordati nelle lapidi e nei monumenti della Lotta di Liberazione
in Slovenia.
Ora è giunto finalmente il giorno di guardare ulteriormente
avanti e di far conoscere la cultura e la lingua di questo popolo
a noi così vicino. E' venuto il momento di scrivere assieme,
italiani e sloveni, la storia di queste zone, di uscire da un'ottica
di contrapposizione. E' il momento che questo territorio venga
narrato non a partire dalle sue divisioni ma a partiredalla sua
straordinaria complessità etnico-linguistica, che è
la sua ricchezza.
E' proprio in quest'ottica e seguendo questo filo conduttore
che il gemellaggio tra le organizzazioni partigiane di Kobarid,
della Benecija e di Cividale assume una grande importanza. Il
patto di gemellaggio sottoscritto il 29 settembre 2018 tra ZBB-NOB
e ANPI così recita:"Ci impegniamo ad approfondire
le nostre relazioni collaborando in tutti gli ambiti e particolarmente
con la finalità di: assicurare rapporti di buona convivenza
reciproca; valorizzare, tutelare e favorire la memoria e la ricerca
storica in relazione alla comune lotta al nazi-fascismo; favorire
rapporti di interscambio culturale e sociale e riaffermare i
principi di pace richiamati anche dagli statuti delle nostre
Associazioni. Ciò indipendentemente dalle differenze linguistiche
e culturali esistenti nei nostri territori ed anzi utilizzandole
come forza positiva per un'ulteriore crescita delle nostre Comunità,
nel rispetto delle singole autonomie". Alle future iniziative,
alcune già in cantiere, il compito di concretizzare questo
patto.
articolo apparso sul Trinkov Koledar
- 2018 |
Luciano
Marcolini Provenza |