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Nota della redazione: Proponiamo
qui di seguito i passaggi più significativi degli interventi
degli storici Anna Di Gianatonio e Marco Puppini,
autori del libro "Contro il Fascismo oltre ogni frontiera"
- ed. KappaVu |
La famiglia Fontanot
è stata una famiglia con un albero genealogico molto ampio,
in cui tutti i componenti hanno dato un contributo importante
per la difesa dei valori di uguaglianza e solidarietà
contro lo sfruttamento e per un mondo diverso da quello che si
stava sviluppando allora in Europa.
Una storia che è anche storia di donne che hanno partecipato
attivamente alla lotta antifascista, che sono state arrestate,
che hanno messo a repentaglio la propria vita e che hanno condiviso
con i propri uomini anche le scelte più difficili e rischiose.
Nerina Fontanot è una donna partigiana che ha combattuto
in Francia e che allindomani del 1945 ha raccontato la
sua esperienza in Francia e quella dei suoi cugini che avevano
combattuto nel Monfalconese e nella Bassa friulana.
Nerina Fontanot è nata il 28 febbraio 1919, è sorella
di Nerone e Jacques Fontanot ed è cugina di Spartaco Fontanot
tutti 3 caduti combattendo nella Resistenza francese.
Combattenti in un paese, la Francia, che non era la loro patria,
ma che li aveva accolti come antifascisti a metà degli
anni 20.
Nerina è figlia di Gisella Teja e Giuseppe Fontanot entrambi
figure note nellantifascismo monfalconese e triestino.
Nei suoi racconti emerge anche la dimensione tragica della Resistenza
sia in termini di vite umane che di conflitti che si sono ripercossi
nella vita.
Alcune donne ricordano il periodo della Resistenza in modo positivo
perché si sentivano libere, non cera il controllo
familiare, montavano in bici e facevano le staffette allontanandosi
da casa, dormendo nei fienili e sperimentando un grande senso
di libertà. Ci sono poi i lutti, il carcere, le violenze.
Fa parte di questa storia drammatica anche il rapporto con il
figlio Luciano avuto da Domenico Manera che a due anni viene
lasciato alla zia Lucia, che aveva appena perso il figlio Spartaco,
perché Nerina deve continuare la Resistenza a Marsiglia
e Lione. Questo bambino sentirà il peso dellabbandono
e questo innescherà un conflitto madre-figlio che durerà
anni.
Altrettanto problematico è il matrimonio di Nerina con
Domenico Manera.
Domenico Manera ha frequentato la scuola superiore umanitaria,
una scuola democratica fondata da Filippo Turati che non chiude
nemmeno durante il fascismo, e si è diplomato allAccademia
di Belle Arti a Venezia. Durante la Resistenza in Francia si
dedica alla falsificazione dei passaporti per i profughi politici,
un lavoro delicato che richiede luso di materiali particolari
e, soprattutto, di grande pazienza. Questi passaporti sono realizzati
nella loro casa a Nanterre, in uno scantinato in cui vive da
recluso quasi tutto il giorno a fare documenti. La sua eventuale
cattura sarebbe un colpo pesante per la Resistenza. Naturalmente
questa autosegregazione condiziona la sua vita coniugale e familiare.
I nomi particolari
dei familiari Nerone, Nerina, Spartaco, Sparta, Vinicio, Licio,
Armido sono derivati dalla lettura di un libro allora molto popolare
Quo vadis?, un libro che racconta una storia di fede,
riscatto, di forti passioni che in qualche modo si trasmettono
nella vita di questa famiglia.
I due capostipiti sono Giacomo e Giuseppe Fontanot nativi di
Muggia, Giuseppe fa il barcaiolo, Giacomo è operaio nei
cantieri triestini poi per lavoro si trasferisce a Monfalcone.
La storia di queste due persone è la storia anche del
movimento operaio di inizio 900 fortemente intrisa di austromarxismo,
un movimento che oltre a essere fortemente internazionalista
ha molto a cuore |
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-La famiglia Fontanot in un momento di
svago: al centro
-con gli occhiali il padre
giovanni, deportato e morto a
-Dachau; sotto in camicia
bianca con il mandolino Licio
-Fontanot, alle sue spalle
il fratello Vinicio, comandante
-dei GAP, ultimo a sinistra
Armido che con Licio ha dato
-il nome alla Brigata
partigiana. |
la formazione
culturale della classe operaia. Questa famiglia partecipa alle
lotte operaie dei primi anni del XX secolo, vive la guerra, la
profuganza e il rientro, le lotte del primo dopoguerra quando
Monfalcone era distrutta dalla guerra e il territorio era malsano.
Le donne spesso si ammalano di malaria e gli uomini lavorano
nella fabbrica definita il cantiere della morte con
incidenti sul lavoro molto frequenti, con maestranze italiana
e slovene del Carso, una fabbrica dove si parla di politica e
dove il fascismo mostra immediatamente il suo volto ben prima
della marcia su Roma.
I Cosulich finanziano delle squadre di operai, cosiddetti a doppia
paga, che lavorano in cantiere, ma con una integrazione del salare,
aggrediscono gli operai antifascisti o chiunque si ribelli fuori
e dentro la fabbrica.
Nel 1921, quando lo scontro fra padronato e classe operaia si
fa aspro e cominciano le rivendicazioni per aumenti salariali,
riduzione dellorario di lavoro e migliori condizioni di
vita, un gruppo di questi operai entrano in cantiere lanciando
cinque bombe che provocano un morto e numerosi feriti. Gli operai
dei ponteggi reagiscono buttando materiale di ogni genere nel
tentativo di allontanarli.
Nel 1923 i Fontanot sono nella lista nera degli antifascisti,
vengono licenziati e per loro si apre la strada dellemigrazione
perché non trovano più lavoro.
Con laffermazione del fascismo la situazione per la famiglia
diventa insostenibile, inducendola ad emigrare in Austria da
dove, nel 1927, dovette riparare in Bulgaria, essendo stata partecipe,
particolarmente con il figlio Armido, dei moti operai repressi
con le armi dal governo di monsignor Ignaz Seipel.
A metà degli anni 30 questa famiglia si divide: una parte
rimane in Francia e una parte rientra in Italia, ma essendole
stata negata dalla polizia la residenza a Monfalcone, si stabilisce
a Ronchi. Qui, nellambiente operaio, avviene il contatto
con lorganizzazione clandestina comunista e, al sorgere
della Resistenza armata del popolo sloveno, si realizza il collegamento
anche con esso.
La casa in cui vivevano anche i tre fratelli maschi Licio,
il più anziano Armido e il più giovane Vinicio,
con le rispettive mogli e figli la sorella Wanda con le
figlie ed il genero di Armido (il padre, Giovanni, con laltra
sua figlia abitava e lavorava a Pozzuolo del Friuli), divenne
il punto di riferimento e di collegamento per il movimento clandestino.
LIspettorato Speciale di Pubblica Sicurezza di Trieste,
istituito con lo specifico compito dellazione antipartigiana
ed antifascista, nel giugno 1943 colpisce la famiglia Fontanot.
Vinicio sfugge miracolosamente allarresto ed entra in clandestinità
tra i partigiani. Mentre sono arrestati la moglie Nina, Armido
con moglie, figlia e genero, Licio e moglie, la sorella Wanda
e le sue figlie. Gli arrestati verranno gradatamente liberati
ad eccezione della moglie di Vinicio, Armido e Licio, che saranno
liberati il 9 settembre per la pressione popolare allora dispiegatasi
a Trieste e Monfalcone.
I tre fratelli si ritrovano insieme nella Brigata Proletaria,
nella quale Vinicio ricopre il ruolo di comandante del battaglione
che combatte nella zona di Merna (GO) fino al 27 settembre e
successivamente nel Battaglione Triestino del Carso,
costituitosi nellottobre in quel di Opacchiasella, scendendo
in pianura con ripetute azioni.
Nel dicembre 1943 a Ronchi vengono costituiti i GAP, Licio e
Vinicio che ne sarà il vice comandante e a fine
guerra il comandante del battaglione GAP Montina
operano con i GAP. Armido, invece, rimase in montagna.
Licio Fontanot, distintosi per il suo coraggio in numerose occasioni,
fu protagonista negli ultimi giorni del luglio 1944 di una eccezionale
e drammatica vicenda. Doveva operare uno spostamento dal Monfalconese
alla Bassa Friulana e perciò procedeva a piedi e disarmato
per passare il ponte di Pieris vigilato da un reparto repubblichino
fidandosi dei documenti didentità falsificati, altre
volte usati. Quando si accorge di essere seguito da uno squadrista,
probabilmente armato, che lo conosceva, accelera il passo e,
in vista del posto di blocco sul ponte, corre verso i repubblichini
chiedendo loro di proteggerlo dal partigiano che lo inseguiva.
Nello scombussolamento che si crea, prosegue la corsa sul ponte,
ma I fascisti, accortisi dellespediente, spararono ferendolo
gravemente. Lui, tuttavia, riesce a gettarsi nellacqua
dellIsonzo, inseguito da altri spari. Trasportato dalla
corrente finisce a riva nei pressi di Isola Morosini dove, svenuto,
viene trovato e accolto da una famiglia fortunatamente collaboratrice
dei GAP.
Curato sommariamente, si ravvisò la necessità di
un ricovero in ospedale, ma essendo imprudente un ricovero allospedale
di Monfalcone, i suoi compagni di lotta lo portano in quello
più lontano di San Vito al Tagliamento dal quale, dopo
le cure necessarie, viene dimesso precocemente. I medici gli
prescrivono un lungo periodo di convalescenza e di inattività.
Insofferente di tale condizione e informato della zona in cui
si trovava il suo reparto, decise di raggiungerlo, accompagnato
da due giovani desiderosi di unirsi ai partigiani. Nel tragitto
incappa in un grosso rastrellamento, ma le condizioni fisiche
non gli permettono di muoversi con rapidità. Licio è
quindi catturato dai repubblichini e riconosciuto, è sottoposto
nella caserma Piave di via Lumignacco a Udine a ripetute torture
e ridotto al limite di ogni capacità di resistenza.
Piuttosto che recedere dal proprio silenzio, il primo agosto
del 1944 il partigiano si suicida, impiccandosi nella cella della
caserma.
Poco più di un mese prima era tragicamente morto anche
il fratello: Armido Fontanot Spartaco.
La sua era stata una vita piena di atti che testimoniano la dedizione
alle lotte dei lavoratori per laffermazione dei loro diritti
e per la libertà.
A ventanni, nel settembre del 1920 nella prima resistenza
al fascismo sulle barricate di San Giacomo a Trieste contro le
quali intervenne, anche con lartiglieria, la Brigata Sassari;
nel 1927 a Vienna nei repressi moti operai, durante i quali rimase
ferito, poi, nuovamente in Italia, in carcere e partigiano.Quando,
nellaprile 1944, sulla Bainsizza, si costitusce la 14a
Brigata dAssalto Garibaldi Trieste, Armido
diventa commissario di uno dei suoi battaglioni, che, tra le
prime importanti azioni, partecipa allespugnazione del
presidio di Montespino, nella valle del Vipacco, costituito da
alpini della RSI comandati da ufficiali tedeschi.In questa azione
sono fatti 75 prigionieri che, per loro desiderio sono inclusi
nel reparto partigiano ed affidati ad Armido Fontanot, con cui
stabiliscono un cordiale rapporto, reale per alcuni, finto per
altri. Successivamente i prigionieri chiedono di poter combattere
in Friuli e sono inviati oltre lIsonzo attraverso le Valli
del Natisone, accompagnati e guidati da Fontanot, tanto convinto
della loro buona fede da ritenere superflua la scorta che gli
viene proposta.
Nella notte del 24 giugno 1944, alcuni di questi, sobillati da
ufficiali presenti tra loro, lo trucidano per ripresentarsi tra
i repubblichini. Dai pochi ex prigionieri onestamente presentatisi
nella Natisone, il fatto venne a conoscenza delle
organizzazioni della Resistenza e giunge fino alla Slovenia meridionale
nella quale si trovavano i partigiani italiani che formarono
una nuova Brigata: la Fratelli
Fontanot, onorandosi del nome di Licio e Armido, eroi della
Resistenza. Lo stesso nome sarà adottato anche da un Brigata
GAP nella Bassa Friulana.
Vinicio Fontanot, dopo aver partecipato alla battaglia di Gorizia
nel settembre del 43, va in montagna nel battaglione triestino
poi nei GAP di Monfalcone poi nei GAP della Bassa friulana. In
seguito dirà di essersi sentito come un animale ferito
che, con due fratelli morti e il padre a Dachau, non aveva niente
da perdere. Catturato nel 1945 viene liberato e nel dopoguerra
subirà un processo perché accusato di aver ucciso
un fascista e avergli rubato il portafoglio. Il processo terminerà
con lassoluzione.
(...)
Della famiglia Fontanot non possono essere dimenticati il vecchio
padre, Giovanni, nato nel 1873, partigiano a 71 anni, arrestato
nel dicembre 1943, deportato nel lager di Dachau e morto nel
marzo del 1944, né il genero di Armido, Mario Campo, partigiano
dellintendenza Montes, pure lui deportato a
Buchenwald dove morì.
A Monfalcone, Ronchi, Staranzano e altrove nel Monfalconese vie
o altri siti pubblici portano il nome dei Fratelli Fontanot.
Ma anche a Nanterre, nellimmediata periferia di Parigi
esiste una via: la rue trois Fontanot ed una tomba
nella quale sono sepolti i resti e custodita la memoria dei tre
giovani cugini Fontanot Nerone, Jaques e Spartaco
caduti per la libertà che il Comune francese ha voluto
sia colà conservata. Erano i figli di Giuseppe Fontanot
e di Gisella Teja e di Giacomo Fontanot e Lucia Fumis (sorella
di Romano Fumis commissario dei GAP del Monfalconese e della
Bassa Friulana, catturato e morto nella caserma Piave di Palmanova).
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