-
Nota della redazione:
proponiamo qui di
seguito i passaggi più significativi dell'intervento della
storica Irene Bolzon, autrice del libro "Repressione
antipartigiana in Friuli. La caserma Piave di Palmanova e i processi
del dopoguerra"- ed. KappaVu |
E' opportuno
inquadrare il contesto in cui ha luogo la vicenda della Caserma
Piave di Palmanova. Ci troviamo in un Friuli che è il
cuore della zona di operazione Litorale Adriatico,
un'area amministrativa sottoposta direttamente alle autorità
germaniche che si estendeva dalla provincia di Udine a quelle
di Trieste, Gorizia, Lubiana, Fiume e Pola.
E' una storia che si svolge nella Bassa friulana e che vede nella
primavera del '44 un fiorire interessante di esperienze resistenziali.
Qui opera l'intendenza Montes che, fondata da Silvio
Marcuzzi (nome di battaglia Montes) ha il compito
di approvvigionare la resistenza in montagna raccogliendo cibo
e vettovaglie in pianura. Una esperienza, la più grande
del suo genere in Nord Italia, che merita molta attenzione per
il particolare contesto in cui si è sviluppata. Attorno
alla intendenza operano i GAP, squadre formate da pochi uomini
che conducono una sorta di guerriglia urbana contro i quadri
militari occupanti e che svolgono anche una importante azione
di intelligence. Nella zona opera anche un comando
unificato Osoppo-Garibaldi. Il comando della polizia segreta
germanica decide di rimettere mano all'impianto repressivo per
riprendere il controllo del territorio e istituisce in Regione
4 centri per la repressione del movimento di resistenza: uno
a Villa Giacomelli a Pradamano, uno a Pradamano, uno in via Cairoli
a Udine, uno a Tolmezzo e uno, il più importante, presso
la Caserma Piave di Palmanova. Quest'ultimo lavorerà con
sinistra efficienza dal settembre del 1944 fino ai
primi giorni dell'aprile 1945.
Il
centro di Palmanova appena costituito, anche se formalmente sottoposto
all'autorità tedesca, sarà organizzato e guidato
da Odorico Borsatti, un giovane di Pola inserito nelle SS, che
a capo di un gruppo a cavallo di SS volontarie italiane e tedesche
sarà ospitato nella Caserma Piave. Per capire l'importanza
di questo centro dobbiamo ricordare che dal novembre del 1944
all'aprile del 1945 furono registrati in questa struttura oltre
500 prigionieri e di questi 113 morirono per tentata fuga. Questa
dicitura nasconde la vera causa della morte: fucilazione arbitraria
o morte a seguito di torture e violenze. Un dato parziale che
emerge dalla lettura di registri interni trovati in modo avventuroso
nei giorni della Liberazione che non tiene conto delle persone
che sono state uccise durante le operazioni sul territorio e
che non passarono quindi per la caserma. Una struttura efficiente
al centro di una struttura reticolare con diversi distaccamenti,
il più importante a Muzzana, che supportano il centro
di Palmanova. La stessa Banda Collotti da Trieste si sposta nella
Bassa per collaborare a diverse operazioni contro la Resistenza.
Lo scontro fra nazifascisti e Resistenza si gioca sulle informazioni
che si possono raccogliere con la delazione, l'infiltrazione
e la tortura. I rastrellamenti che interessano le aree attorno
a Tapogliano e Trivignano Udinese sono guidata da qualcuno che
fa la spia e segnala chi aiuta i partigiani o li ospita. Ci sono
poi le indagini in incognito portate avanti da fascisti che si
travestono da partigiani e vanno in giro per il territorio, compiendo
anche qualche atto arbitrario, segnalando chi offre loro aiuto
e rifugio. C'è poi il sistema più efficace, quello
della tortura su chi viene arrestato e imprigionato. Si insiste
molto sui gappisti perché si sa che hanno le informazioni
più importanti. La struttura della Caserma Piave non ha
nulla di eccezionale perché il sistema di repressione
segue cliché abbastanza collaudati che hanno spazio in
tutti i centri di repressione attivi in Regione. Il Borsatti
quindi lavora secondo schemi già strutturati anche se
ci mette del suo. La fine del gappista Emilio Da Ponte, squartato
con l'utilizzo di 2 cavalli è sintomatica del suo modo
di agire. La strategia funziona bene perché da una parte
scoraggia la popolazione dall'aiutare la Resistenza e dall'altra
agisce in modo offensivo contro il movimento partigiano.
Borsatti è poi un vero e proprio segugio; mette in piedi
una rete di informatori efficace che gli permette di arrestare
Silvio Marcuzzi, il comandante dell'intendenza che garantiva
i rifornimenti al movimento partigiano. Dopo l'arresto, Marcuzzi
sarà trasferito alla Caserma Piave dove morirà
per le torture subite. Una morte giudicata negativamente dal
Comando tedesco che così vede venire meno una importante
fonte di informazioni e un possibile oggetto di scambio.
Borsatti viene trasferito a novembre e sostituito da Ernesto
Ruggero che guida un gruppo di notevole esperienza composto per
lo più da friulani che hanno operato contro la Resistenza
jugoslava. All'interno di questo gruppo si distingue un nucleo
di persone particolarmente violente nell'esercizio del controllo
del territorio e che costituiranno quella che sarà chiamata
la Banda Ruggero. Il termine banda ci apre a una altra fase della
vita del centro di repressione di Palmanova: siamo ora di fronte
a un gruppo che è fuori dal controllo tedesco e agisce
attorno a un leader carismatico. La banda Ruggiero
tappezza la Bassa Friulana di cadaveri spesso abbandonati sulla
strada o nei campi senza documenti o oggetti che permettano di
agevolare il loro riconoscimento. Esecuzioni arbitrarie ben diverse
da quelle perpetrate dai tedeschi che, invece, avvisano la popolazione
per dare alla morte dei partigiani e dei loro collaboratori un
significato pedagogico. Le azioni della banda Ruggiero sono finalizzate
a diffondere il terrore, ma sono anche operazioni poco costruttive
che esasperano la popolazione. Nel centro aumenta la violenza
che diviene anche insensata: ad Angelo Cerniz vengono strappati
a morsi il naso e le orecchie, a tre giovani partigiani di San
Giorgio vengono coperti di polvere pirica e incendiati. Violenza
pura che anche rende più violento lo scontro con la Resistenza
che non rimane passiva di fronte alla negazione da parte dell'avversario
delle normali regole militari.
Sarà proprio la Sipo-SD ((Polizia e Servizio di Sicurezza)
di Udine, dopo una inchiesta, a chiudere il centro di Palmanova.
Per valutare questa violenza, non credo sia opportuno riferirsi
alle categorie morali che di solito sono usate in queste occasioni:
non sono uomini, ma bestie, sono esseri senza
umanità. Sono invece uomini che hanno operato una
scelta ben precisa e il cui comportamento violento è spiegabile
alla luce di una ideologia, quella fascista, che ha usato spesso
la violenza come mezzo di lotta politica. Ma la violenza non
è disgiunta dal forte senso di frustrazione che deriva
dalla consapevolezza dell'esito negativo della guerra e dalla
persistente bassa considerazione che i tedeschi hanno per le
truppe italiane al loro servizio ("buoni a nulla",
"traditori", ...). Una violenza che nei giovani seguaci
della banda Ruggiero è anche connessa alla "miseria"
di chi, non avendo mezzi culturali adeguati, vuole costruirsi
con la forza un ruolo nel mondo.
Il centro di Palmanova lavora 24 ore su 24 con rastrellamenti
e interrogatori che si succedono in serie e l'attività
della caserma altera anche le relazioni fra le formazioni partigiane.
Odorico Borsatti, durante il suo processo nel maggio del '45,
dichiara di aver avuto rapporti importanti con don Ascanio De
Luca (uno dei fondatori della Osoppo) e dichiara di aver consegnato
agli osovani dei documenti attestanti questi contatti. I documenti
custoditi nell'archivio dell'Osoppo attestano contatti con don
Paschini di Colloredo, con mons. Nogara, con Luigi Baiutti e
altri che sarebbero iniziati nel novembre del '44 con l'arresto
di Eugenio Morra, il Comandante del Comando unico Garibaldi-Osoppo.
Dopo l'arresto, Morra dichiara al Borsatti che le brigate Osoppo
sarebbero nate per controllare la Garibaldi e avrebbero una importante
funzione anticomunista. Questa strategia funziona perché
Morra non viene torturato e perché permette al Borsatti
di capire che nel movimento partigiano c'è chi combatteva
per ragioni simile alle sue. Di fatto si crea un "modus
vivendi" basato sull'impegno dell'Osoppo a non attaccare
le pattuglie della Caserma Piave durante le operazioni di rastrellamento
del territorio e sull'impegno di Borsatti a non maltrattare
i partigiani catturati che si dichiarano osovani.
Il documento più illuminante di questo accordo è
la testimonianza di Italo Zaina, un partigiano dell'Osoppo poi
passato alla Garibaldi, che dichiara di aver visto i compagni
osovani girare liberi nella caserma e addirittura invitati ad
andare al cinema la sera.
Questo accordo personalistico fra alcuni osovani e Borsatti continua
anche con l'arrivo di Ruggiero. Su 202 arrestati, 11 sono garibaldini,
81 civili e solo 10 osovani. Di questi solo 5 sono stati torturati,
2 prima degli accordi fra Borsatti Morra e gli altri 3 perché,
non a conoscenza dell'accordo, non si sognarono nemmeno lontanamente
di dichiararsi partigiani al momento dell'arresto .
Borsatti viene processato da un Tribunale del Popolo e quindi
condannato a morte. Contro il parere degli inglesi, viene ucciso
in cella nel corso di una irruzione di un commando partigiano
nel carcere di via Spalato a Udine. Forse una esecuzione non
casuale perché, se Borsatti era un violento torturatore,
era anche il custode di troppe cose scomode sulla Resistenza.
Il Tribunale del Popolo chiude i battenti ed è sostituito
dalla Corte di Assise Straordinaria che, nel settembre '46, avvierà
il processo contro gli esponenti della Banda Ruggiero. Alcuni
componenti sono introvabili, altri sono scappati e l'amnistia,
interpretata in modo largo da molti tribunali, renderà
ben presto molti di questi uomini liberi dopo solo brevi periodi
di carcere. L'amnistia di Togliatti sarà poi seguita da
numerosi indulti che renderanno innocui tutti i processi di epurazione.
Nel '54 tutti i componenti della Banda Ruggiero saranno uomini
liberi. Spesso nel corso dei processi imputati adottarono la
strategia difensiva dell'obbedienza ad ordini superiori. L'analisi
dei documenti però ha messo in evidenza come molti degli
imputati compirono atti a loro non richiesti quali, ad esempio,
la collaborazione alla pianificazione dei rastrellamenti. Torture
e fucilazioni arbitrarie ci indicano che il gruppo si muoveva
in modo autonomo e spontaneo. Anche la formazione della Banda
Ruggiero fu un atto autonomo.
-