Ringrazio innanzitutto lAnpi di Cividale, nella persona
del Presidente Luciano Marcolini, e lAmministrazione comunale
per avermi dato lopportunità di tenere lorazione
ufficiale oggi qui davanti a voi; non posso non ricordare che
tredici anni fa presi la parola in questo stesso luogo grazie
alla proposta che mi fece Elio Nadalutti, dirigente Anpi di cui
tutti sentiamo la mancanza: uomo di grande solidità, capace
con il suo rigore di essere un vero punto di riferimento, era
molto esigente con gli oratori che ascoltava, e le sue aspettative
hanno sempre rappresentato, per il sottoscritto, uno stimolo
dimportanza non trascurabile.
Sono trascorsi
78 anni dallinizio della feroce repressione scatenata dai
nazifascisti a Cividale ai danni di partigiani, civili e militari
colpevoli di essersi allora opposti alloccupazione militare
tedesca, attivamente sostenuta da quel che era rimasto
dopo lestate del 1943 del regime mussoliniano.
Nei pressi di questa caserma vennero detenuti, torturati e fucilati
decine e decine di oppositori fra lautunno del 43
e la primavera del 45: la caserma, infatti, era diventata
allora la sede del Comando distrettuale tedesco, dopo che lo
sfacelo della monarchia aveva aperto le porte del Paese allinvasione
nazista.
Comè noto, a inizio settembre lItalia aveva
firmato la propria resa incondizionata agli Alleati, mettendo
la parola fine al patto sciagurato con Hitler: larmistizio,
tuttavia, invece di rendere possibile il riscatto del Paese dopo
la vergogna della dittatura fascista, aveva gettato il paese
nel caos.
Per quale ragione?
Perché
la parte del Paese che si era stretta attorno a Vittorio Emanuele
III, la parte più conservatrice del paese, il ceto dominante
raggruppato attorno a Badoglio, nutriva un timore che metteva
in secondo piano la preoccupazione per la più che probabile
invasione tedesca. Di che cosa avevano paura generali, alti burocrati,
industriali, banchieri ed aristocratici? Di tutti quegli operai,
quei contadini, quegli artigiani, quei giovani che fra luglio
agosto avevano riempito le piazze ovunque: la caduta del fascismo
aveva suscitato lentusiasmo della parte popolare del Paese,
di quellItalia proletaria che il regime aveva costretto
al silenzio, alla passività, alla subalternità
grazie alla violenza squadrista, ai Tribunali speciali, al confino,
alla prigionia.
Quellentusiasmo, tuttavia, dallaltra parte del Paese
quella delle élite era temuto: in altri
termini, lItalia era spaccata: la patria era divisa, non
per la prima volta e nemmeno per lultima. Il governo badogliano,
incapace di offrire una prospettiva allItalia proletaria
che pure si stava battendo per essere finalmente protagonista,
si dimostrò completamente incapace di far fronte al pericolo
incombente rappresentato dalla Wermacht schierata ai confini
settentrionali dellItalia.
Dopo l8 settembre chi si organizzò per tenere testa
ai Tedeschi che si stavano impossessando di tanta parte del territorio
nazionale? Quanti si diedero precipitosamente alla fuga verso
Brindisi o tante altre destinazioni, per salvare innanzitutto
le proprie fortune? O quanti tentarono, con audacia e determinazione,
di opporre allavanzata dellesercito nazista una vera
e propria resistenza armata? Mi riferisco, naturalmente, ai primi
distaccamenti partigiani che presero forma nelle montagne qua
attorno, ma anche per fare lesempio forse più
noto alla Brigata proletaria che venne organizzata dagli
operai dei cantieri di Monfalcone e che tentò di fermare
lavanzata dei tedeschi su Gorizia.
Quali erano i patrioti allora? Chi dimostrò di avere a
cuore le sorti del Paese? Chi scappava o chi combatteva?
Fu proprio allora che una giovane generazione di antifascisti,
cresciuti durante il Ventennio e nauseati dalla retorica nazionalista
martellante che il regime aveva imposto come dogma di Stato,
scoprì il valore dellimpegno per la patria; ecco
le parole utilizzate da Natalia Ginzburg per descrivere lo stupore
e la commozione di quella scoperta:
Le strade e le piazze diventarono i luoghi che era necessario
difendere. Le parole patria e Italia
che ci avevano tanto nauseato fra le pareti della scuola perché
sempre accompagnate dallaggettivo fascista, perché
gonfie di vuoto, ci apparvero dun tratto senza aggettivi
e così trasformate che ci sembrò di averle udite
e pensate per la prima volta. Dun tratto alle nostre orecchie
risultarono vere. Eravamo là per difendere la patria e
la patria erano quelle strade e quelle piazze, i nostri cari
e la nostra infanzia, e tutta la gente che passava (
) Ci
parve strano il fatto che, per amore di tutti quegli sconosciuti
che passavano, e per amore di un futuro ignoto ma di cui scorgevamo
in distanza, fra privazioni e devastazioni, la solidità
e lo splendore, ognuno era pronto a perdere se stesso e la propria
vita.
Nei pressi di questa caserma a perdere la propria vita furono
in tantissimi: più di cento le vittime accertate, nella
maggior parte dei casi vittime che non è stato possibile
identificare. Un vero e proprio eccidio, perpetrato nel corso
di mesi e mesi di esecuzioni sommarie decise per piegare la Resistenza
e per terrorizzare la popolazione locale. Non è stato
possibile quantificare il numero effettivo delle vittime: quel
che è certo è che i loro corpi venivano poi buttati
nelle fosse scavate dalle vittime stesse nei prati degradanti
verso lalveo del Natisone.
Grazie alla testimonianza di un cividalese, sappiamo che una
ragazza, una staffetta partigiana, poco prima di stramazzare
al suolo gridò Viva lItalia!. Commemorare
la sua morte come quella di tutte le altre vittime della ferocia
nazifascista ha, per noi oggi, una valenza particolare; a questo
proposito dobbiamo essere chiari: questo è il patriottismo
che a noi, eredi orgogliosi del patrimonio di valori della Resistenza,
sta cuore. Non altri.
Queste ragazze e questi ragazzi hanno rinnovato completamente
il significato da attribuire al termine patriota,
e a questo straordinario rinnovamento non intendiamo rinunciare
nemmeno oggi, quando proprio attorno a questo termine si è
aperta una contesa: una contesa che non deve sorprendere perché
è da allora che ci si divide sullaccezione da attribuire
a quel termine. La Resistenza lo rivendicò, non lo lasciò
a disposizione dei fascisti. Perché mai, daltro
canto, abbandonarlo nelle mani di chi, allora, non seppe far
altro che mettersi agli ordini degli occupanti nazisti?
Consentitemi di citare le parole di un collaborazionista cividalese,
riferite da Giuseppe Jacolutti nella sua ricerca dedicata alle
Fosse del Natisone; sollecitato a riferire del ruolo
avuto nel corso di quei mesi dalle autorità civili locali
i fascisti collocati al fianco del Comando tedesco
spiegò: Le autorità civili locali erano completamente
ignorate dal Comando tedesco (
) Scarsa la considerazione
dei Tedeschi nei loro confronti. Ribadisco pertanto: quali
erano i patrioti allora? Quelli che combattevano contro i Tedeschi
o quelli che con i Tedeschi collaboravano, accettando in silenzio
un rapporto umiliante di sudditanza?
A disposizione dei nazisti, al loro servizio, capaci di ritagliarsi
uno spazietto solo nella veste di delatori e fucilatori di partigiani:
questo fu vero altrove come a Cividale, tanto che la decisione
di fucilare proprio a Cividale otto dei partigiani condannati
a morte dal Tribunale militare tedesco venne presa proprio dai
fascisti. Ecco ancora le parole del collaborazionista già
citato, relative alla fucilazione del 18 dicembre 1944 al campo
sportivo: I fascisti italiani comandavano la fucilazione
in loco, tantè che il plotone desecuzione
fu composto fa fascisti repubblicani.
Così sono andate le cose, a Cividale come da tante altre
parti: questa è la ragione per cui dagli esponenti politici
che provengono dal partito che ha ereditato la tradizione del
fascismo non è possibile accettare lezioni di patriottismo.
Sapete molto bene, daltro canto, che le fucilazioni avvenute
al campo sportivo vennero accompagnate da una decisione particolarmente
feroce: quella di imporre lesposizione prolungata (durò
venti giorni) dei cadaveri degli otto partigiani condannati a
morte. Quei corpi crivellati dai colpi dovevano essere esibiti
pubblicamente affinché si generasse il terrore provocato
dallesempio. Per quale ragioni i fascisti vollero questo
scempio? Per provare a domare una ribellione che nei mesi precedenti
era dilagata, evidenziando una volontà di resistere che,
nonostante i rastrellamenti e la repressione, non scompariva.
Una volontà di resistere che aveva creato le condizioni
per il moltiplicarsi delle formazioni partigiane dal Collio alle
Valli del Natisone e a quelle del Torre; formazioni che, forti
della collaborazione costruita pazientemente con la Resistenza
slovena, manifestarono un irriducibile spirito combattivo, sintetizzato
dalle parole battagliere di un gappista dellepoca: Non
ci faremo intimidire dalle rappresaglie, è lunico
modo di mantenere in efficacia le nostre forze e di far capire
al nemico linutilità della sua ferocia.
Il tentativo messo in atto dai nazifascisti di sterminare gli
oppositori fu tanto brutale quanto inutile: nel corso dellinverno
del 1944-45 la lotta partigiana fu messa a dura prova,
fu costretta a perdere posizioni, ma non fu sconfitta. Il sostegno
logistico messo a disposizione dallEsercito di Liberazione
jugoslavo consentì di superare quei mesi terribili, resi
ancora più complicati dalla collaborazione attiva garantita
agli occupatori nazisti dai soldati cosacchi, più di 10
mila, giunti nelle montagne di questo territorio a seguito dei
tedeschi nellestate del 44. Tutto ciò non
impedì alla resistenza di mantenersi in piedi e, nella
primavera, di passare alloffensiva, offensiva grazie alla
quale Cividale, come il resto dellItalia settentrionale,
poté essere liberata prima che vi entrassero le truppe
britanniche e americane.
I protagonisti furono centinaia di partigiani, italiani e sloveni,
che, variamente organizzati, si erano battuti orgogliosamente
perché la liberazione delle proprie terre non fosse una
gentile concessione delle truppe alleate, ma scaturisse invece
da un impegno di popolo, dalla mobilitazione di quanti avevano
rifiutato di attendere, di nascondersi, di aspettare tempi migliori.
Partigiani e partigiane che in larga parte erano di composizione
sociale proletaria: operai come il primo ucciso presso questa
caserma, Antonio Rieppi, o contadini come Guerrino Bini, fucilato
solo pochi giorni prima della liberazione, al quale lAnpi
di Cividale dedicò, nellestate del 45, queste
parole: Fu tra le schiere dei patrioti che in venti mesi
di disagi e di sacrifici inauditi, riconquistarono alla Patria
il posto che le spetta tra le grandi nazioni, dopo più
che ventanni di sgoverno fascista.
Rileggendo queste parole mi sono tornate alla mente le indicazioni
- scusate il ricordo molto personale - che mio padre mi scrisse
nel dicembre del 2008, a mo di consigli per lorazione
che avrei dovuto pronunciare proprio in questo luogo; al quinto
punto del suo elenco di suggerimenti cera scritto: spiegare
bene e semplicemente perché la lotta partigiana ha dato
allItalia libertà e democrazia, perché per
molti è solo un enunciato di difficile interpretazione,
o addirittura non vero. Aveva ragione mio padre, più
di quanto allora immaginassi: sono infatti molti, troppi, coloro
che si ostinano a chiudere gli occhi di fronte al significato
assunto da quei venti mesi di lotta animati da centinaia di migliaia
di antifascisti.
Con quale credibilità il nostro Paese avrebbe potuto partecipare
ai grandi dibattiti del dopoguerra se, invece di conquistarsi
la libertà, si fosse limitato a farsela concedere dagli
Alleati? Pensiamo per davvero che la nostra Costituzione sarebbe
stata la stessa, se fosse stata scritta sotto la dettatura dei
generali degli eserciti liberatori? La democrazia che gli antifascisti
hanno saputo conquistarsi e di cui hanno scritto le regole, coerentemente
con i loro principi e con i loro valori di comunisti, di socialisti,
di democratici e di liberali, ha preso forma grazie a loro, grazie
alla loro decisione di agire, di essere protagonisti.
Che altro è la democrazia se non questo? E mi riferisco
al significato etimologico del termine greco in questione che,
come tante volte ha spiegato il grecista Luciano Canfora, è
un termine di battaglia. In che senso? Nel senso
che nelle antiche polis la democrazia era quellassetto
di potere che consentiva al popolo, alla massa dei meno abbienti,
di esercitare la propria sovranità dopo averla sottratta
allélite aristocratica. Il demos, nellAtene
di Pericle, esercitava il proprio potere proprio perché,
grazie alla battaglia politica, lo aveva strappato dalle mani
dellaristocrazia: nessuno glielo aveva concesso, ma si
trattava di un potere conquistato e agito con determinazione.
I costituenti italiani che hanno elaborato le nostre leggi fondamentali
fra il 1946 e il 1947 conoscevano molto bene, come chiarì
Calamandrei nel celeberrimo discorso del 1955, le montagne
dove caddero i partigiani, le carceri dove furono imprigionati,
i campi dove furono impiccati e proprio in quei luoghi,
o meglio, in questi luoghi, va cercata lispirazione della
nostra Costituzione. Se invece fosse stata scritta altrove, a
un tavolo di confronto in cui a trattare ci fossero stati generali
e burocrati badogliani con i diplomatici delle potenze alleate,
pensiamo davvero che avrebbe la stessa configurazione, così
rinnovatrice e progressiva? Pensiamo davvero, per
fare un unico esempio, che uguaglianza e giustizia sociale vi
avrebbero avuto lo stesso ruolo?
È del tutto evidente che non sarebbe stato così.
Le cose sono andate nel modo che Calamandrei ha descritto con
insuperabile vivacità perché fra il 1943 e il 1945
ci fu una parte del Paese che rifiutò lacquiescenza,
si scrollò di dosso la passività, prese il coraggio
a quattro mani e agì. Uso le parole di allora di un partigiano:
o facciamo noi o non ci illudiamo che altri faccian per
noi. È possibile immaginare parole più patriottiche
di queste?
Guardate che il paradosso è che ci sono parti significative
dellattuale schieramento politico che continuano a sostenere
che l8 settembre 1943 sarebbe stata la data della morte
della patria. In un certo senso, dobbiamo riconoscerlo, hanno
ragione: quando hanno iniziato a battersi i partigiani, la patria
imperialista celebrata per anni dalla retorica nazionalista del
fascismo ha iniziato a vacillare, mentre ha iniziato a prendere
forma una patria completamente nuova, quella rivendicata dagli
oppressi intenzionati a liberarsi, a scuotersi di dosso le tracce
lasciate da anni di dittatura. Oppressi che credevano in principi
diversi, che nutrivano aspettative diverse nei confronti dellavvenire,
che in tanti casi parlavano anche lingue diverse, ma che comunicavano
e che collaboravano grazie al linguaggio universale della lotta
per la liberazione e per la giustizia: il linguaggio che unì
tanti popoli europei che il nazionalismo lasciato in dote
dalla Prima Guerra mondiale aveva diviso.
A quasi ottantanni dallinizio della resistenza, noi
antifascisti possiamo, dobbiamo continuare a essere orgogliosi
di questa storia! Gli altri, coloro che non si riconoscono in
questa storia, hanno le stesse ragioni per essere orgogliosi?
Non credo.
Allora il Paese si divise e ha continuato a rimanere diviso:
nelle battaglie e nelle aspirazioni dellantifascismo hanno
continuato a non riconoscersi in tanti, e oggi costoro alzano
la voce nei comizi, non solo contro i valori dellantifascismo,
ma contro bersagli più precisamente definiti, la Costituzione
innanzitutto, e della Costituzione nel mirino è finito
uso le parole precise il pantano della Repubblica
parlamentare.
Questa è la posta in gioco oggi, di questo si sta parlando,
ed è bene esserne consapevoli, come ha chiarito con efficacia
il Presidente nazionale dellAnpi Gianfranco Pagliarulo:
tutto si combina: assemblea costituente, antiparlamentarismo,
presidenzialismo, apologia delluomo solo al comando, nazionalismo,
sono i punti cardinali di una proposta politica inaccettabile
e pericolosa che va denunziata senza se e senza ma, prima che
titubanze o inopportuni eccessi di prudenza ci portino in un
vicolo cieco. A buon intenditor, poche parole.
Non ci deve sorprendere, pertanto, che il patriottismo venga
rimesso dai nazionalisti al centro di una strategia retorica
che si fonda su unoperazione parallela altrettanto arbitraria:
il tentativo di rimozione dellantifascismo dallorizzonte
dei valori dellattualità, quasi che con quel termine
si potesse identificare esclusivamente limpegno di unepoca
lontana contro una dittatura ormai dimenticata.
Questequivoco è inaccettabile: lantifascismo
prese forma allora come alleanza di forze anche molto diverse
che avevano deciso di convergere per un obiettivo comune, ma
poi si è materializzato in una Costituzione che, come
ha detto Calamandrei, non è stata concepita per essere
esclusivamente la cornice giuridica di un assetto istituzionale:
essa era e ha continuato a essere anche un programma, un
ideale, una speranza, un impegno di lavoro da compiere.
Ecco, questo è un impegno di lavoro dal quale
noi ci sentiamo ancora vincolati e rispetto al quale non siamo
disposti a transigere.
Quante e quanti considerano la Costituzione un anacronistico
residuo del passato da stravolgere, lo tengano ben presente.