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ANPI
Cividale del Friuli

Commemorazione dei
"Martiri della Libertà"

intervento di Alessia Zambon
Assessore alla Cultura del Comune di Cervignano
20 dicembre 2020

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Sezione di Cividale del Friuli
Città decorata con Medaglia d’Argento al V.M. per i fatti della Resistenza

Ringrazio l'Amministrazione comunale e l'Anpi per questo invito che mi onora profondamente. Ringrazio i rappresentanti delle istituzioni e le autorità militari, ringrazio voi tutti, cittadine e cittadini carissimi.
Ci ha condotti qui, stamane, innanzitutto la riconoscenza; la gratitudine di noi, cittadini liberi, verso coloro che, invece, trascorsero la vita, e spesso la persero, sotto il tallone opprimente del nazifascismo e che, nonostante quei soprusi, coltivarono e inverarono con la lotta un sogno bellissimo: quello di un mondo di pace, affrancato dalla violenza, dal razzismo e dalle ingiustizie.
Ci hanno condotti qui, 76 anni dopo, i nomi e le vite di 8 giovani partigiani, trucidati in questo campo sportivo, ora, in loro memoria, il campo dei Martiri della Libertà.
Ripetiamo i loro nomi e immaginiamo i loro giovani volti:

Rodolfo Bastiani, 32 anni, da Cormons,

Aldo Faidutti, 21 anni, da Saciletto,

Giacomo Impalà, 20 anni, carabiniere, da Santa Lucia del Mela, in provincia di Messina,

Anton Marinic, 18 anni, da Dobrovo, in Slovenia,

Franc Pahor, 28 anni, da Opatje Selo, in Slovenia,

Lodovico Puntin, 19 anni, da Aquileia, nome di Battaglia “Sam”,

Severino Rocchetto, 19 anni, da Palazzolo dello Stella e

Stojan Terpin, 19 anni, da Vipolže, in Slovenia.

Il 18 dicembre 1944 essi furono uccisi qui e, nelle stesse ore, a Gemona altri sei partigiani andarono incontro alla stessa terribile sorte. Due stragi correlate, come attesta un articolo apparso sul quotidiano Il Piccolo di Trieste martedì 19 dicembre 1944. Esso annuncia che una sentenza del Tribunale Speciale per la Sicurezza pubblica ha decretato la pena di morte di 14 partigiani, ritenuti appartenenti attivi a gruppi di «banditi». La fucilazione fu compiuta dalla Milizia Difesa Territoriale. La scellerata Milizia Difesa Territoriale, composta dai miliziani fascisti, che in queste terre non aderirono, come nella neocostituita Repubblica di Salò, alla Guardia Nazionale Repubblicana, ma passarono alle dirette dipendenze delle SS. La scellerata Milizia Difesa Territoriale, nonostante la mistificazione sconcia di alcuni recenti testi assolutori, fu costantemente impiegata in operazioni di repressione della guerra partigiana e di controllo della classe operaia nelle fabbriche, e continuò il suo famigerato ”servizio” anche dopo l’8 settembre, fornendo ai tedeschi una zelante collaborazione nella cattura dei cittadini ebrei. I registri della Risiera di San Saba riportano i dati della sua indefessa attività squadrista.
Antonio Bressan, del IV Battaglione Volontari fascisti friulani, alla testa del plotone di esecuzione, aprì il fuoco. I militi delle Brigate Nere trascinarono, in seguito, i corpi martoriati fuori dal campo e, per intimidire la popolazione, li esposero sul selciato. Dopo due giorni, grazie all'intercessione pietosa di monsignor Liva, vennero sepolti in una fossa dietro la caserma. Solo il manifesto affisso dal Tribunale Speciale, che annunciava l’avvenuta esecuzione, ne ha consentito l’identificazione.
Vedete, dei partigiani assassinati in questo luogo, colpisce, come altrove, la trasversalità della provenienza e la giovanissima età.
A ribadire, ancora una volta, il carattere interclassista, plurale e precoce della Resistenza.
La Resistenza fu un insieme di Resistenze, che le fecero assumere il profilo di autentica lotta di popolo: da quella armata, dei partigiani di montagna e di città a quella sociale, degli operai delle fabbriche e del mondo contadino, da quella civile, degli uomini e delle donne alle prese con la drammatica quotidianità della guerra, a quella, meno conosciuta, degli internati militari italiani nei lager. Questa la consistenza storica di un movimento che fu pienamente “lotta per la libertà”, in cui si impegnarono italiani ed europei di ogni provenienza, ceto e credo politico, capaci di riscattare con il loro impegno e i loro sacrifici - sacrifici a volte così terribili da sembrare sovrumani - una nazione intera, umiliata dal fascismo e dalla guerra.
Con questa lotta gli italiani hanno potuto rivendicare, a buon diritto, la propria dignità.
Senza la Resistenza gli italiani non avrebbero invece potuto rivendicare alcunché e probabilmente non si sarebbe tenuto alcun referendum istituzionale e non sarebbe stata scritta neppure quell’autentica “tavola di principi e di valori” racchiusa nella Costituzione, frutto del patto, alto e lungimirante, di tutte le forze antifasciste, e che mantiene, ancora oggi, inalterata tutta la sua vitalità.
Principi e valori di libertà, di pace, di uguaglianza, di laicità e di solidarietà che dobbiamo saper preservare con grande saldezza, saldezza di spirito e di azione politica, ricordando che veniamo, come cittadini, dal ventre di quei venti mesi.
Venti mesi di lotte durissime, di grande smarrimento di fronte a un’Italia a pezzi, di spaventosi eccidi compiuti dai nazifascisti (come quello terribile delle fosse del Natisone), di necessità di unire i poli dello spontaneismo per rendere più efficace l’azione partigiana e conquistare la fiducia dei contadini; ma anche venti mesi di coraggio e abnegazione, di fortissima politicizzazione del ceto operaio, di partecipazione consapevole e di passione bruciante in un clima di gioia quasi irreale.
Mi sono care le parole di Tina Anselmi, staffetta partigiana col nome di battaglia “Gabriella”, insegnante, prima donna ministro della Repubblica e presidente della commissione d'inchiesta sulla loggia massonica P2. Ogni anno ad aprile, consegno, assieme alla Costituzione italiana, queste sue parole ai cittadini diciottenni di Cervignano e chiedo loro di custodirle con amorevolezza.
“Il valore più importante della Resistenza resta la partecipazione. Ognuno di noi scoprì in quei giorni che aveva qualcosa da dare e da portare lungo il cammino della liberazione. Perché non si dovesse mai tornare indietro verso lo scempio della vita umana. Volevamo la libertà per poterla vivere fino in fondo, per consolidarla, per consegnarla come garanzia al domani. Dobbiamo raccontare la storia della Resistenza e farlo partendo dalle lettere dei condannati a morte. Io dico che davanti alla morte c’è la verità e la verità è che noi facevamo la guerra per ottenere la pace e la libertà e per essere, innanzitutto, felici, Cito sempre, - è ancora Tina Anselmi a parlare -, la lettera di Giacomo Ulivi ( giovane studente di legge, partigiano fucilato a Modena) : “Non pensate a me come un eroe, ci vuole meno a morire per un’idea che non vivere ogni giorno per quella idea.” Questa frase vale ancora oggi”.
Vedete, la Resistenza è giovane per dotazione genetica, perchè è quel periodo della nostra storia collettiva in cui tutto è parso possibile, in cui l'atmosfera era così vitale e vertiginosa da indurre ragazzi, come quelli che onoriamo quest'oggi, a schierarsi, anche a costo della vita. Giovani che, allora, esplorarono per la prima volta il mondo della scelta e fecero dell'antifascismo una condizione esistenziale. Ecco la loro lezione, la più bella: per cambiare il mondo bisogna esserci! Bisogna partecipare, come esortava a fare la staffetta Gabriella.
Esserci e partecipare, con lo studio e la conoscenza, innanzitutto; è necessario sapere il prezzo che gli antifascisti hanno pagato, con le ritorsioni, con le torture, con le vendette sulle loro famiglie.
Sapere e non dimenticare, fare della memoria un'arma pacifica ma aguzza da porre al servizio della verità. Abbiamo un dovere morale e civile: approfondire i fatti con metodo e dedizione, e poi indagare sempre cause e implicazioni, contestualizzando gli eventi della storia con i prodromi e le conseguenze.
Senza slogan, senza frasi o cifre ad effetto, parlando sempre a ragion veduta e attenendosi alle fonti.
Senza cedere alla mediocrità dei propagandisti che pretendono di sostituirsi a storici e studiosi.
Sapere, ricordare e partecipare.
Sapere, ricordare e partecipare.
Badate, parlare e riflettere sulla Resistenza non si deve ridurre, come spesso avviene, a quella specie di elemosina educativa che chiamiamo “sensibilizzazione”. L’esperienza dei partigiani, di tutti quelli che hanno dato vita all’antifascismo, ha un carattere pedagogico, paradigmatico, di autentica educazione alla vita, che corrisponde perfettamente a quell’esemplarità che in filigrana possiamo leggere nella nostra Costituzione.
Conoscere la Resistenza, soprattutto per un ragazzo, non è soltanto entrare in rapporto con la storia del proprio paese a partire dal suo nucleo fondante, ma è anche la possibilità di immaginare che le cose, la società che c’è intorno a lui, il suo futuro cambino a partire dalle sue scelte e dal suo scegliersi la parte.
Gli anniversari contengono un rischio implicito. Si insiste spesso sulla necessità di non ridurre la memoria della Resistenza a un vuoto, o vagamente patriottardo, cerimoniale, a un rito officiato per consuetudine, un po’ come si celebra una qualunque festa senza quasi ricordare quali siano i valori che mobiliti. È giusto, ma voglio dire di più: disperdere o svilire quel patrimonio ideale non sarebbe solo indegno nei confronti del passato, ma anche una perdita irreparabile per la società che vogliamo essere.
Non ci ha condotti qui, oggi, l'ossessione del passato, piuttosto, a ben vedere, quella del futuro. Perchè è in questo presente torbido che noi cogliamo nuovamente i segni nitidi di una rinnovata filosofia del fascismo: abulia, violenza, razzismo, maschilismo, militarismo, antipolitica, retorica nazionalista.
Nel 1933 Leone Ginzburg ammoniva così coloro che, per quieto vivere, prendevano la tessera del fascio.” La maschera, quand'è portata a lungo, non vuol più staccarsi dal volto.”
Ribadiamo, dunque, con le parole dello storico Sergio Luzzatto che: “Neanche la più libera delle generazioni è libera da tutto, completamente separata da quelle che l’hanno preceduta e da quelle che la seguiranno. Purtroppo o per fortuna, la ‘grazia della nascita tardiva’ – la nostra – non esclude un’assunzione di responsabilità rispetto al passato, oltreché rispetto al futuro”.
Una responsabilità cui siamo chiamati oggi stesso, in ogni momento, con lucidità e con la fierezza di non indossare maschere.

Alessia Zambon