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ANPI
Cividale del Friuli

Commemorazione dei
"Martiri della Libertà"

intervento di Fabio Verardi
17 dicembre 2017

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La caduta del regime fascista, l’occupazione tedesca della Penisola, la costituzione della Repubblica Sociale italiana e la guerra civile che ne conseguì aprirono una delle pagine più drammatiche del secondo conflitto mondiale in Italia. Dall’8 settembre 1943 ai primi giorni del maggio 1945 il Paese fu attraversato e sconquassato da un conflitto lacerante che portò violenze, lutti, devastazioni e sofferenze che hanno lasciato tracce ancora presenti nel tessuto culturale, sociale e politico della nazione.
La situazione di Cividale è paradigmatica. Pochi giorni dopo l’armistizio Cividale viene occupata da reparti della Wehrmacht con una lunga storia di combattimenti alle spalle; vi sono poi numerose aliquote di soldati delle SS. Il comando tedesco instaura un duro regime di occupazione che costringe a scelte non facili. Cividale, come tutto il Friuli, la Venezia Giulia, L’Istria, fa ora parte della Zona di operazioni del Litorale adriatico, un territorio di fatto sottratto alla sovranità italiana nel quale i tedeschi instaurano un regime poliziesco e repressivo.
Cividale vede inoltre la presenza di reparti collaborazionisti turchestani e calmucchi prima, cosacco-caucasici poi. A questi si aggiunsero nutriti reparti collaborazionisti italiani, Milizia per la Difesa territoriale e Reggimento alpini Tagliamento, che fecero di questa città una base logistica per controllare il territorio ed operare una dura repressione antipartigiana messa in atto a largo raggio, sia di concerto coi tedeschi che in modo autonomo. Anche per questo Cividale paga alla guerra e all’occupazione un numero molto alto di vittime, di feriti. Non si contano danni, privazioni.
Le vittime che oggi commemoriamo ci testimoniano quanto fu articolato il sistema repressivo messo in campo dai nazi-fascisti nella nostra regione.
La fucilazione degli 8 Partigiani fu una rappresaglia concertata con una equivalente operata a Gemona. Fu messa in atto come risposta all’uccisione di 8 militi della Milizia per la difesa territoriale. Si tratta di una violenza esibita, pubblica. Viene messa sotto il cappello di una presunta legalità. La sentenza di morte ai Partigiani, come attestano numerose fonti, viene eseguita dai militi della Milizia ed è comminata dal Tribunale speciale per la sicurezza pubblica istituito dal Gauleiter Friedrich Rainer proprio allo scopo di far sembrare legali le rappresaglie tedesche: il suo funzionamento è arbitrario, la legislazione imprecisa, è negata la possibilità di difesa, molti sono dei veri e propri processi farsa. Ciò nonostante questo Tribunale, a Cividale come in altre zone del Friuli, diventa uno strumento per la repressione, per accrescere il terrore, per controllare il territorio. Per in nazi-fascisti si tratta di rispondere con estrema durezza all’iniziativa partigiana per togliere il sostegno della popolazione ai Partigiani. Questo surplus di violenza nasce come risposta alla guerriglia e con questo i tedeschi cercano di togliere dignità ai loro avversari, non riconoscendoli come pari. I loro corpi diventano un monito della sorte che tocca ai cosiddetti “banditi”. Appare in tutta la sua drammaticità quella pedagogia funeraria che vuole togliere dignità ai caduti. Ma ha l’effetto opposto. Da un contributo al risveglio delle coscienze e risulta di esempio per molti.
Le vittime delle “Fosse del Natisone” ci parlano di un sistema repressivo e terroristico, se possibile, ancor più articolato.
Le violenze nazi-fasciste vedono nella caserma “Principe di Piemonte” un luogo simbolico. La caserma divenne un nodo di una rete estesa che abbracciava tutta la Zona di operazioni Litorale adriatico. La sua posizione strategica era fondamentale per tenere e controllare il territorio; era un punto di partenza privilegiato per rastrellamenti (Zona libera Friuli Orientale, Valli del Natisone e oltre); era nodo di una rete informativa che si basava sui comandi delle SS e della Sipo/SD e faceva capo a Udine con: Spilimbergo, Gemona, Tolmezzo, ecc.
Su Cividale gravita una zona ampia e complessa che vede agire diverse formazioni della resistenza italiane e jugoslave. È una zona di cerniera nella quale lo scontro nazionale e la barbarie provocata dall’ideologia politica e razziale nazi-fascista raggiungono e mantengono livelli elevatissimi. Alla caserma di Cividale sono condotti i Partigiani che vengono catturati nel corso dei rastrellamenti in Friuli, nelle Valli del Natisone e in altri luoghi. Con loro vi sono condotti i civili che lo aiutano e quanti sono sospettati di farlo: questo è possibile anche grazie a alla collaborazione e alle delazioni.
In ragione di tutti questi fattori la caserma “Principe di Piemonte” divenne un centro particolarmente attivo nella zona con un forte nucleo di polizia: e lo rimase per i tutti i venti mesi di occupazione: la prima vittima registrata fu Antonio Rieppi (24 anni), ucciso il 2 ottobre 1942, l’ultima Aloisio Zorzi (22 anni), ucciso il 1° maggio 1945.
All’interno dell’edificio vennero detenute e torturate decine di persone. Molte furono deportate, svariate decine vennero massacrate e fucilate, senza il rispetto dei basilari diritti umani e parvenza di processo. I loro corpi vennero sepolti sommariamente lungo uno dei muri perimetrali della caserma o semplicemente fatti sparire. In un crescendo di violenze, le fucilazioni andarono avanti sino agli ultimi giorni della guerra.
Parte di quanto era avvenuto nella caserma si seppe solo dopo la Liberazione, quando furono esumate 113 salme di Partigiani, soldati e civili fucilati. Pochissime vennero identificate; tra queste vi erano anche 19 militari calmucchi (disertori e catturati nel corso di un rastrellamento) e diversi civili. Non si conosce, neppure in modo approssimativo, il numero complessivo delle vittime. Non è il solo caso in regione (si pensi alla Risiera di San Sabba e altre stragi perpetrate nel territorio regionale), ma la dimensione anche quantitativa delle vittime, lo rende uno dei più particolari non solo in regione.
Le “Fosse del Natisone” sono una sorta di luogo e non-luogo della memoria. L’indeterminatezza materiale, le poche tracce sull’identità delle vittime ci costringono a una riflessione sulla lotta di Liberazione in queste zone più articolata che deve necessariamente tenere conto di uno scenario complesso nel quale agiscono diversi gli attori.
Tali fattori ci costringono a uno sforzo maggiore per non far cadere il silenzio su quanto accadde; per un dovere civile di non far scendere l’oblio sulle vittime.
Il sacrificio delle vittime della rappresaglia tedesca del dicembre 1944, della politica repressiva nazi-fascista e tutti i caduti nella lotta di Liberazione deve essere tenuto presente come un patrimonio civile e morale che non può essere dissipato. A 72 anni di distanza è un monito che va sentito con maggiore forza e chiarezza tanto più si è giovani. Quei giovani resistenti parlano ancora e forte a giovani cittadini di una Repubblica fondata sui valori della Resistenza che quei valori ed ideali deve tenere ben presenti nella propria agenda e deve portare a compimento. Onore va tributato ai caduti nella guerra di Liberazione; ma onore sarebbe una parola vuota senza un richiamo costante e un impegno attivo nella lotta ai fascismi (in qualsiasi loro manifestazione) e nel richiamo ai valori di libertà e democrazia che ha ispirato l’azione e la vita dei Partigiani. Viva l’Italia libera.

 

Fabio Verardi
Istituto Friuliano di Storia
del Movimento di Liberazione